OTRANTO – Il confine è labile. Da una parte il (sacrosanto) diritto di cronaca, dall’altro l’esigenza di tutelare la persona offesa. E’ la perenne, e a volte quasi manichea, dicotomia tra giornalismo e magistratura. Un rapporto delicato, complicato, talvolta conflittuale. L’argomento è stato al centro della quarta giornata del Festival dei Giornalisti del Mediterraneo in corso di svolgimento ad Otranto. Il titolo era di per sé emblematico: “Giornalisti e magistrati: colpevoli o innocenti?”. Un focus di grande interesse e di stretta attualità al quale hanno preso parte Leonardo Leone De Castris, Procuratore della Repubblica di Lecce; Stefano Dambruoso, magistrato presso la Procura della Repubblica di Bologna; Francesco Paolo Sisto, avvocato penalista; Stella Sanseverino, avvocato; Gaetano Castellaneta, avvocato penalista. A moderare l’incontro due colleghi di primissimo piano come Paolo Di Giannantonio (Rai Tg1), e Stefano Polli, vice direttore dell’Ansa. “Ci siamo confrontati su uno dei temi irrisolti dai tempi di “Mani pulite” ad oggi – ha spiegato Stefano Dambruoso – ovvero sul rischio di un corto circuito mediatico-giudiziario che non aiuta la ricerca della verità e molto spesso provoca danni alla reputazione degli indagati, e sulla necessità di individuare regole di comportamento e criteri di maggiore responsabilizzazione degli operatori giuridici e dei giornalisti”.
“E’ fondamentale – avverte Stefano Polli – separare i fatti dalle opinioni, la cronaca dai commenti: nel primo caso raccontiamo cosa è accaduto, mentre in un editoriale ci assumiamo le responsabilità di avere un’idea: si può essere d’accordo o meno, ma anche questo è un diritto dei giornalisti”. E il ruolo difficile e importante svolto dai giornalisti nel Mediterraneo è stato sottolineato da Paolo Di Giannantonio il quale ha voluto ricordare la collega “morta a Malta, dopo essere esplosa in mille pezzi perché sta facendo un’inchiesta sul potere. I non credo che ci debbano eso essere dei limiti nell’attivtà dei giornalisti”.
Sul vituperato e abusato utilizzo dell’avviso di garanzia si è soffermato in particolare l’avvocato Francesco Paolo Sisto. “E’ fatale che nella pubblica opinione il soggetto indagato sia un soggetto colpevole, alla faccia dell’articolo 27 della Costituzione, alla presunzione di non colpevolezza che è una categoria in disuso anche sul piano normativo…”. Insomma, si corre il rischio, cosi facendo, di cucire addosso all’indagato un marchio di fabbrica, quasi fosse ritenuto già colpevole prima ancora dell’avvio di un procedimento giudiziario.
“Il controllo dell’attività giudiziaria da parte dell’opinione pubblica – ha spiegato Leonardo Leone De Castris, Procuratore della Repubblica di Lecce – avviene prevalentemente attraverso la libertà di informazione. E’ fisiologico che in un Paese come il nostro dove esiste una forte radicalizzazione politica è fisiologico che una notizia o l’indiscrezione in materia di giustizia venga utilizzata come una clava oppure dal giornalista per motivi di spettacolarizzazione che non hanno nulla a che vedere con la ricerca della verità. A questa necessità di informare e di essere informati occorre tuttavia sempre considerare che il processo penale è un fatto molto tecnico. E’ importante ricordarlo perché in Italia tutti parlano di giustizia…”. Non avendo alcuna base e competenze specifiche. Risultato? Il processo si trasferisce sui media e sui social anticipando di fatto il vero dibattimento giudiziario, quello in un’aula di tribunale, decretando condanne e assoluzioni.
Certo, riuscire a coniugare l’esigenza di tutela del diritto di informazione con quella di tutela della riservatezza delle indagini e della dignità delle persone non è affatto facile. Ma usare mezzi spiccioli (e veloci) come la cosiddetta querela temeraria (una denuncia presentata ai giudici quando non si è in presenza di nessun reato) per provare a chiudere la bocca ai giornalisti è un esercizio pericoloso non solo per la libertà dell’informazione ma per quella di tutti i cittadini. Perché il rischio di ritrovarsi dalla parte della barricata è reale e potrebbe colpire chiunque. Alla fine dei conti la stella polare che dovrebbero seguire giornalisti e magistrati è solo quella legata alla correttezza e all’onestà intellettuale.
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