In una sola parola: «no». Dura presa di posizione del Gal Terre del Primitivo dopo la notizia di una possibile produzione del prezioso vino in Sicilia. «Il nostro Primitivo non si tocca». Il Gal si schiera a difesa dei tantissimi produttori e dell’immagine dell’intero territorio che, su questo prezioso vitigno, negli anni ha costruito il suo brand.
«A quanto si apprende in queste ore, c’è stata l’autorizzazione per l’impianto e la produzione in Sicilia – si legge in una nota- ma evidentemente a qualcuno stanno sfuggendo le implicazioni che tutto questo può generare. Intanto parliamo di un danno per la nostra identità e, non da ultimo, si rischia di creare un precedente per il futuro: altre varietà autoctone potrebbero essere scippate ad altre regioni, facendo venire meno una storia secolare».
Apprezzato in Italia e nel mondo, volano economico per centinaia di famiglie, il Primitivo Dop e Igp è il simbolo della Puglia vitivinicola e porta con sé anche molto altro. «Il suo valore culturale e identitario appartiene a questi luoghi e nessuno può appropriarsene – dice ancora il Gal che ricorda di aver costruito l’intero Piano di Azione Locale 2014-2020 proprio su questo – In fase di programmazione abbiamo deciso di puntare l’attenzione sul Museo diffuso delle Terre del Primitivo inteso come territorio da condividere. Un connubio tra risorse naturalistiche, artistiche, storiche, enogastronomiche e umane in cui emerge tutta la nostra autenticità, che è la nostra vera ricchezza, e non permetteremo a nessuno di portarcela via”.
“Il vino Primitivo di Manduria – concludono i rappresentanti del Gal – da generazioni, rappresenta l’immagine di questa terra, declinata nei suoi tanti aspetti che vanno dall’enologia all’enogastronomia, dalle tradizioni e alla vita rurale. È per questo che condanniamo con forza la possibilità che altre regioni coltivino questo vitigno autoctono pugliese. Siamo pronti a fare squadra con le istituzioni e le realtà che, come noi, hanno a cuore questo territorio, difendendolo da qualsiasi tentativo di usurpare la nostra storia e la nostra economia».
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