LECCE – In un clima di grande sintonia e profondo coinvolgimento spirituale, l’Ordine dei Medici di Lecce ha incontrato l’Arcivescovo di Lecce Michele Seccia. I motivi dell’incontro traggono fondamento nei valori essenziali e condivisi di rispetto della dignità umana e di testimonianza del servizio. I medici, ma ancor di più i medici cattolici, sono chiamati a sfide decisive e in qualche modo esistenziali, in un mondo in costante e rapido mutamento.
“Se i cristiani medici sapranno fare della loro professione un autentico ministero della salute – ha sottolineato l’arcivescovo Seccia – la società italiana sarà attraversata da una testimonianza possente e convincente, capace di favorire il rinnovamento di altri impegni professionali, sociali e politici”. Un messaggio dal forte impatto etico, accolto con particolare interesse e impegno dai medici salentini – rappresentati dal presidente Donato De Giorgi e dal responsabile della Commissione “Medicina, arte, cultura, scienza e socializzazione” Cosimo Metrangolo – convinti che in una società che sembra aver rinunciato ai valori di solidarietà, di dignità, di libertà, di rispetto e di “cura”, è necessario, in uno slancio di orgoglio professionale, avere il coraggio di trasformare il disagio, nel quale si vive la professione stessa, nell’impegno di trasformare, con una credibile testimonianza di servizio, la stessa società e i suoi valori.
La malattia rappresenta una condizione di estrema fragilità, non solo fisica, ma anche sociale, esistenziale: proprio per questo spetta al medico – nella “sacralità” della sua professione – tutelare la dignità dell’uomo, prendendosene cura, non soltanto utilizzando conoscenze e competenze (che comunque ha il dovere di sviluppare al meglio), ma anche e soprattutto con il rispetto dei diritti fondamentali della persona e della vita, senza mai prevaricare convinzioni e situazioni, ma difendendo i più deboli e i meno garantiti.
Per i medici la questione morale significa “non accettare che migliaia di persone nel nostro territorio salentino rinuncino alle cure per un disagio economico, diventato un gap incolmabile quanto intollerabile. Significa “non rassegnarsi a tacere – con un colpevole silenzio – di fronte al degrado ambientale che si sta realizzando nella nostra “casa comune”, bella come poche; é spinta ad umanizzare il processo di cura, a rivendicare il ruolo di professionisti della salute e non di tecnici della malattia, rapportarsi con empatia ai pazienti per ricostruire un rapporto di scambievole fiducia; è considerare la gestione economica delle cure sempre come un mezzo e mai come un fine; questione morale – al di là delle convinzioni religiose – è affermare l’atto medico come doveroso servizio, adeguato ed equo, mai strumentalizzato e svilito dal mercimonio incentivato in una società che esalta la logica mercantile, la competizione e il profitto”.
Nel corso dell’incontro, inoltre, sono state sollevate le delicate problematiche suscitate dal “biotestamento” a partire dalle domande “esistenziali”: il concetto di vita, di morte, di autodeterminazione. Senza dubbio in argomenti complessi e controversi, che coinvolgono – anche emotivamente – il vissuto di pazienti, parenti e operatori, la bussola che deve indicare la rotta per ognuno deve essere sempre il rispetto della dignità umana, sebbene – portando il proprio contributo di esperienza vissuta – si sono sottolineate la difficoltà, la delicatezza delle scelte, le multiple (e a volte contrastanti).
Un dialogo proficuo e sincero tra chi si prende cura del corpo e chi dell’anima.
Facebook
Instagram
RSS