Il ruolo dei cattolici, l tanti problemi irrisolti, il pericolo di demagogie e populismi, le fantasmagoriche promesse elettorali: a tre giorni dal voto pubblichiamo la lettera-appello inviata ai cattolici dall’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Lecce.
Inizia così il nostro viaggio tra idee, opinioni, proposte, suggerimenti. Per offrire un piccolo ma significativo contributo al dibattito sui problemi e sulle prospettive della nostra terra.
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- Perché una lettera aperta a pochi giorni dal voto del 4 marzo?
Innanzitutto perché è un modo di parlare a se stessi. Un modo di mettere alla prova le proprie certezze e di consentire un percorso di ricerca di nuove e più valide ragioni. Poi perché ci si riconosce parte di una comunità all’interno della quale vi sono sensibilità diverse, diverse intensità di impegno e nella quale, per chi crede, ci si riconosce come parteci di un medesimo cammino di fede. Una fede magari adulta che sa scorgere l’essenziale dell’annuncio cristiano (il kerigma) senza avere paura dei dubbi. Una fede che accetta i paradossi, le contraddizioni e le tante pietre di inciampo che il credere comporta. Una fede che sa espungere con coraggio quegli atteggiamenti ispirati alla consuetudine (si è fatto sempre così) e alla pigrizia (perché non vuole mettersi alla scuola della Parola) che rischiano di trasformarla in una religione che crea barriere etiche e in una vera e propria ideologia che vuole imporre i suoi precetti a scapito della laicità delle Istituzioni. Infine, perché da parte dei cattolici, quando riconoscono la politica come la più esigente forma di carità, è richiesto di mettere in campo quel “supplemento d’anima” (come capacità di coltivare la speranza nonostante tutti i fallimenti della storia) e quel senso di distacco (che non vuol dire indifferenza ma al contrario capacità di discernimento) che, di fonte al grande circo delle promesse elettorali fantasmagoriche, aiutano a smascherare le demagogie, i populismi, gli istinti egoistici che sono alla base di quelle promesse.
- Conosciamo bene i problemi delle nostre comunità: il lavoro che manca, le diseguaglianze e le povertà che aumentano, l’immigrazione vista come minaccia piuttosto che come opportunità, il divario crescente con le zone più ricche del Paese, le imprese che faticano a crescere, lo sfilacciamento delle relazioni, etc.etc. In questi ultimi anni tanto è stato fatto (pensiamo soltanto alla ricchissima legislazione sociale, alla riforma del mercato del lavoro, al reddito di inclusione, alla legge contro il caporalato, al piano Industria 4.0), ma moltissimo ancora resta da fare. E’ illusorio pensare che i bisogni di chi cerca il lavoro, di chi lo ha perso, delle imprese che arrancano, delle famiglie che faticano a sostenere la crescita dei propri figli, possano essere soddisfatti in maniera efficace, dentro i confini nazionali e con una classe dirigente miope. Sulle scelte importanti ancora da compiere per accompagnare e consolidare la crescita, per rimettere in moto quella scala sociale che nei decenni passati ha consentito al figlio dell’operaio di acquisire maggiori livelli di benessere rispetto a quelli della famiglia di provenienza, non è indifferente la serietà e la credibilità di chi è chiamato a compiere quelle scelte. Non solo. Non è neppure indifferente il contesto europeo che può ostacolare o facilitare le politiche di sviluppo. Oggi ci troviamo infatti ad un bivio: da una parte i Paesi che intendono riprendere e portare a compimento il progetto di una integrazione europea sempre più forte; dall’altra i Paesi che vogliono frenare se non addirittura interrompere il processo verso la creazione degli Stati Uniti d’Europa. Solo Istituzioni europee più forti e solidali potranno assicurare maggiore crescita e quindi maggiore occupazione. C’è bisogno, allora, di una classe dirigente che rifiuti ogni velleità sovranista e torni a respirare il sogno europeo che fu di De Gasperi e di tanti altri politici di ispirazione cristiana.
- Di fronte al rischio di un Paese chiuso, ripiegato su se stesso, prigioniero delle proprie paure, che è incapace di trattenere le intelligenze dei propri giovani, è grande la responsabilità che ci attende. Le disillusioni, la stanchezza, l’indifferenza, il “tanto sono tutti uguali” sono un lusso e per noi che ci diciamo cristiani anche un peccato. Papa Francesco ci sollecita ad abbandonare un cristianesimo benpensante e chiuso nelle sagrestie. Una Chiesa in uscita è una Chiesa non solo fisicamente vicina a tutte le periferie ma è anche una Chiesa spiritualmente libera nell’esercizio del discernimento. Ecco la nostra responsabilità: esercitare il necessario discernimento perché il cammino democratico del nostro Paese non abbia arresti o cadute.
∙ Non aiuta il discernimento non solo chi é incline al facile ottimismo ma anche chi si distingue per la critica distruttiva.
∙ Non aiuta il discernimento chi strumentalizza alcune questioni complesse come per esempio l’immigrazione: è davvero paradossale come alla drastica riduzione del numero di immigrati corrisponda un aumento della percezione di insicurezza e di minaccia da parte dei cittadini.
∙ Non aiuta il discernimento chi sotterrando la serietà e la verità, con i soliti colpi da teatro ammalia l’elettore con proposte irrealizzabili.
∙ Non aiuta il discernimento chi fa dell’impegno politico un motivo di occupazione di spazi di potere e per questo è disposto ad indossare nuovi abiti senza porsi alcuna questione di coerenza. Chi preferisce attardarsi nella costruzione di piccoli accampamenti per preservare meglio la propria carriera piuttosto che le proprie idee. Chi si limita ad occupare una poltrona, senza mettere in moto da quella poltrona processi di cambiamento. È il principio del “tempo superiore allo spazio” che Papa Francesco propone nella Evangelii gaudium.
∙ Non aiuta il discernimento chi promette sostegni che condannano i giovani a continuare ad “essere sdraiati” anziché essere generativi di desideri. Solo un desiderio forte può infatti spingere a mettere a frutto il proprio talento, a facilitare la ripresa dello spirito auto imprenditoriale, a promuovere percorsi di liberazione da ogni sudditanza e assistenzialismo.
Mai, forse, come oggi sono in gioco i valori fondamentali della nostra Costituzione. La democrazia rischia di essere ridotta ad un semplice click. L’ideologia dell’odio per il diverso conduce ad una deliberata mistificazione della realtà. I partiti, con poche eccezioni, rischiano di trasformarsi in veri e propri “rami d’azienda”. Questo è un tempo in cui sembrano affiorare con sempre maggiore evidenza tracce di un passato che speravamo definitivamente abbandonato. E tuttavia, questo è il tempo che ci è dato. E questi sono gli ostacoli con i quali fare i conti. Ostacoli che possono e devono essere superati “imparando di nuovo il coraggio di saltare”. Per riaffermare, come direbbe Giorgio La Pira, la speranza contro ogni speranza, la fiducia nel prossimo, l’apertura alla dimensione europea.
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