LECCE – In Puglia, è la provincia di Lecce a registrare la più alta crescita del numero delle imprese attive: ce ne sono 66.283 (erano 65.274 a fine maggio 2021). È quanto emerge dal nuovo studio dell’Osservatorio economico Aforisma, diretto da Davide Stasi, che ha preso in esame tutte le aziende, ad eccezione di quelle inattive o sottoposte a procedure concorsuali. Si tratta, quindi, di un sottoinsieme dello stock totale delle imprese presenti nel Registro delle imprese. L’incremento annuale è stato di 1.009 unità, pari all’1,5 per cento. Rappresentano il 20 per cento del totale regionale (332.489).
Segue la provincia di Brindisi, con un incremento di 622 aziende e Taranto (+550). Il Salento, dunque, migliora le performance della natimortalità del tessuto imprenditoriale, mentre arretrano Foggia (-737) e Bari (-369). Il nord e il sud della Puglia si sono mosse in direzione opposta.
«Gli ingranaggi dell’economia continuano a girare a velocità diverse – spiega Davide Stasi, direttore dell’Osservatorio economico – Nel nord della Puglia è diminuito il numero delle imprese, mentre nel Sud è aumentato. Nel Salento, in particolare, crescono quasi tutti i settori, ad eccezione del settore manifatturiero, sempre più penalizzato dalla congiuntura. Il turismo e i servizi sono i comparti che hanno ripreso vigore con l’avvicinarsi dell’estate, anche se si ridimensioneranno tra settembre e ottobre, a causa della difficile destagionalizzazione dei flussi. Il settore delle costruzioni – aggiunge Stasi – è cresciuto più di tutti grazie agli incentivi fiscali, Superbonus e Bonus facciate, ma ora è in forte sofferenza per gli incontrollati rincari delle materie prime e la mancanza di programmazione a medio-lungo che ha determinato lo scompenso tra la domanda (rappresentata dai proprietari di immobili) e l’offerta (imprese edili e relativi fornitori). L’impennata dei costi si fa sentire in tutti i passaggi della filiera: dagli elementi basilari come i tubi in gomma, al trasporto degli stessi materiali, sino alla manodopera: i costi sono schizzati alle stelle spingendo il settore al collasso. In seguito alla pandemia, alcuni settori risultano più colpiti di altri, come il commercio di vicinato, ma anche l’industria automobilistica o dei macchinari. Altri settori, invece, hanno registrato una sorprendente crescita, come ad esempio l’e-commerce, l’agroalimentare, la sanità e l’assistenza sociale. L’agricoltura, invece, vive una fase di transizione, ma c’è ancora una tale frammentazione aziendale che non valorizza le potenzialità delle estese superfici dei terreni. Un aspetto che significa incapacità, finora, di stare insieme, cooperare, condividere strumenti e obiettivi. Ma significa anche altro: lasciare buona parte del territorio all’abbandono, al sottoutilizzo o ad un utilizzo distorto. Senza una valorizzazione anche in termini economici – chiosa Stasi – le campagne diventano facile preda di cemento, progetti di energie rinnovabili selvagge, incendi e incuria».
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