L’incontro, moderato dalla giornalista salentina Fabiana Pacella, ha puntato l’attenzione sulle esperienze dirette delle stesse relatrici intervenute nel pomeriggio di sabato. Una sola presenza maschile quella di Luca Alemanno-CEO Bolton Food e Vice presidente di Valore D la prima associazione di imprese che promuove l’equilibrio di genere e una cultura inclusiva per la crescita delle aziende e del Paese. “Essere qui per me è molto importante – ha spiegato Alemanno – innanzitutto perché sono uomo e panel di questo tipo se ne vedono molto pochi, di solito abbiamo il 100% di presenza maschile, in seconda battuta perché sono salentino e in più per il mio ruolo nell’Associazione. Lavorare con le donne è sempre stato per me un momento di grande arricchimento, credo molto nella necessità di impegnarsi nel superamento del gap dal punto di vista del gender sia come uomo che come ambassador della leadership femminile in azienda”.
L’Italia è ancora molto indietro sulla parità di occupazione tra uomini e donne e gli stereotipi sono ancora molto radicati nell’istruzione, basti pensare che soltanto il 30% delle studentesse approcciano le facoltà S.T.E.M. discipline scientifico-tecnologiche. Il tema degli stereotipi va affrontato alla radice, alla base dell’insegnamento, come ha voluto sottolineare anche Anna Maria Cherubini Delegata alle Politiche di Genere del Rettare all’Università del Salento “All’Unisalento c’è una positiva inversione di tendenze sulle medie nazionali e abbiamo riscontrato un’ottima presenza di studentesse nelle S.T.E.M, anche se ad esempio la facoltà di Ingegneria è ancora di appannaggio maschile. Il problema dell’orientamento in entrata deve essere risolto molto prima, al liceo, bisogna far vedere che un certo tipo di discipline sono naturalissime per tutti, che non c’è nessun tipo di bias a priori”.
Per quanto riguarda l’orientamento in uscita, purtroppo bisogna fare i conti con un mercato del lavoro ancora limitante, con politiche di Welfare non ancora adeguate. Nei prossimi anni all’Unisalento, come sta accadendo in tutti gli atenei italiani, si dovrà approvare il “Gender Equality Plan” richiesto come dalla Comunità Europea per accedere a fondi europei di ricerca.
Secondo alcuni studi il gap di gender potrebbe essere superato tra circa 200 anni, un lasso di tempo troppo ampio che è necessario ridurre attraverso il giusto insegnamento, fin dalla tenera età.
Tutte le donne in qualche modo hanno dovuto superare delle difficoltà nel proprio percorso di crescita. “Sono nata a Pompei – racconta Maria Rosaria Carotenuto Amministratore Delegato Consulthink – in un territorio in cui stereotipi e trappole sono ampiamente disseminati e molto più radicati rispetto a molte altre regioni d’Italia. Ho cominciato a sovvertire queste tendenze fin da giovane, scegliendo di partire per Ivrea e lavorare in Olivetti, lasciando i miei genitori a doversi “giustificare” e rassicurare parenti amici che sarei rimasta una “brava ragazza”. Ho avuto la fortuna di entrare in un’azienda molto all’avanguardia, che già adottava una politica di welfare, con numerosi strumenti a favore delle lavoratrici”. Le donne hanno la tendenza di autolimitarsi anche per la mancanza di aiuti trasversali che permettano loro di seguire le proprie inclinazioni e supportare le proprie scelte. Il risultato è un numero ancora troppo esiguo di curriculum di donne che sentono di dover rinunciare a prescindere ad un impiego per concentrarsi sul ruolo di madre”.
Capita ancora durante i colloqui che a una donna venga chiesto se abbia intenzione di avere figli oppure di rientrare in servizio prima della scadenza del periodo di maternità e ancora che siano costrette a fare richiesta di riduzione dell’orario di lavoro.
Le donne dovrebbero poter scegliere e dovrebbero essere messe in condizione di poter decidere senza alcuna restrizione, imposizione o compromesso di alcun tipo.
La Regione Puglia in questo senso vanta il primato sulla redazione dell’Agenda di Genere, la Strategia regionale per il superamento dei gap di genere nella vita sociale, economia e culturale in linea con gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030. “Si tratta di un lavoro corale – ha specificato Tiziana Corti Referente Pari Opportunità dell’Assessorato al Welfare Regione Puglia – è un traguardo ma è anche un nuovo inizio. Bisogna considerare però che le leggi non sono altro che una cornice, bisogna soprattutto impegnarsi e lavorare al superamento di queste disuguaglianze attraverso l’informazione, la comunicazione e la sensibilizzazione”.
Dello stesso avviso la giornalista e direttrice di “IlikePuglia” Annamaria Ferretti convinta del ruolo fondamentale dei media per apportare un sostanziale cambiamento. “Credo che il ruolo dei giornalisti, comunicatori, di chi fa informazione sia molto importante, bisogna essere esempio, entrare nei meccanismi primari dove si formano le coscienze, operare un cambio netto di cultura e di crescita nei bambini e nelle bambine a partire negli asili e nelle scuole. Per poter fare questo è oltremodo importante che anche all’interno della famiglia cominci questa evoluzione, perché è nel nucleo familiare che si instaura il concetto di “normalità”. Nella sua esperienza a contatto con i più piccoli ha riscontrato una forte disparità cultura tra nord e sud, soprattutto sulla concezione dei ruoli in casa. Se a Bologna durante gli incontri negli istituti scolastici i bambini non si sono stupiti nel sentir parlare del papà che si occupa delle faccende domestiche, a Bari è capitato di dover spiegare a rassicura loro che si tratta di attività che in alcun modo possono screditare la figura del padre, ma che anzi la miglioravano.
Di pari passo è di basilare importanza il cambio di linguaggio anche nei notiziari nel raccontare, ad esempio, storie di femminicidio ancora oggi concentrate dalla parte dell’omicida o spesso relegate alla terza o quarta pagina di un giornale. “Il linguaggio è una questione dirimente nell’informazione – ha precisato Rossella Matarrese Caporedattrice RAI Puglia/Presidente Rete GiULiA-Giornaliste Unite Libere e Autonome – ma continuiamo a sentir parlare di raptus, follia e raccontare il femminicidio, dalla parte del violento, per brevità di narrazione All’interno dell’Ordine ho fatto e continuerò a fare formazione ai giornalisti sul linguaggio e mi piacerebbe avere una platea di persone che sentono davvero questa esigenza, perché sono ancora troppo pochi”.
Nel suo intervento ha voluto sottolineare la tendenza ad affidare alle giornaliste temi economici quasi sempre delegati al mondo maschile, preferendo per loro argomenti come la cronaca nera, bianca o sindacale dove si reputa siano per loro più congeniali.
Purtroppo sono proprio le donne a trovare difficoltà nel superare l’abitudine a raccontarsi e assumere un linguaggio che va oltre la visione prettamente maschile o collocarsi in ambiti che non siano per default destinati agli uomini. “Stiamo cercando di superare il gap di gender e generazionale all’interno della nostra azienda – ha raccontato Alessia Ruzzeddu Head of Training Welfare Diversity & Inclusion Management di Autostrade per l’Italia – attraverso l’ascolto delle persone. Abbiamo voluto più donne in azienda e abbiamo presentato un manifesto alla Ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti a giugno e stiamo sviluppando e attuando molti dei progetti già accennati in questo incontro. Vogliamo ad esempio un candidato donna su tre, vogliamo lavorare sullo sviluppo del lavoro e dei percorsi delle nostre donne ma anche permettere ai papà di avere giorni in più di permesso. Vogliamo aiutare le donne a rimettersi in gioco anche in un ambiente più maschile come il nostro, ma abbiamo bisogno di un aiuto da parte delle istituzioni.”
Anche i social network giocano un ruolo significativo in questo processo di trasmutazione della cultura di genere. Nel libro “Stai zitta giornalista” scritto Silvia Garambois e Paola Rizzi e promosso dall’Associazione GiULiA vengono analizzati in maniera accurata le diverse tipologie di insulti rivolti alle giornaliste su Twitter. “È indubbio che i social stanno portando all’estrema conseguenza lo stereotipo femminile – ha concluso Matarrese – perché attraverso i social si conferma l’idea che l’immagine sia tutto. Hanno un’enorme responsabilità in questo senso e purtroppo c’è l’aggravante delle policy di molti network che non intendono cambiare.”
C’è ancora molto da fare in questo senso, ma pare chiaro che alla base di qualsiasi battaglia sia la necessità di superare tutti quei preconcetti che ormai risultano anacronistici e non più tollerabili a partire dalla divisione dei compiti in famiglia, alla scelta dell’utilizzo di sostantivi a declinazione femminile.
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