“La rete ospedaliera che fa fronte al Covid è ormai al collasso. Siamo fortemente preoccupati per la grave situazione in cui versa la Asl di Lecce. L’alta contagiosità della variante inglese, alcune scelte irragionevoli e l’esiguità delle risorse a disposizione hanno messo in ginocchio l’attuale organizzazione dei presidi ospedalieri della provincia.
Oggi, alla luce di ciò che stiamo vivendo in questi giorni tragici per migliaia di famiglie salentine e pugliesi, vengono a galla tutte le distorsioni di un sistema sanitario regionale ridotto ai minimi termini dalle politiche sanitarie degli ultimi 20 anni. Restano solo i tagli alla sanità pubblica, deprivata di posti letto e risorse umane e finanziarie, ed i piani di riordino che hanno declassato ospedali perfettamente funzionanti. Al contrario non sono state mantenute le promesse di garantire una migliore assistenza territoriale, che ancora non decolla, ed i Livelli essenziali dell’assistenza (Lea). La politica ossessiva di riduzione della spesa pubblica sta facendo pagare un prezzo altissimo in termini di salute collettiva. Quanto ai livelli essenziali di assistenza, basti pensare che gran parte delle cure non-Covid e dell’attività diagnostica sono ferme da mesi.
I piani anti-Covid e l’organizzazione delle Unita speciali di continuità assistenziale (Usca) avrebbero dovuto alleggerire il carico di lavoro che grava sugli ospedali. Un anno dopo, in assenza di decisi investimenti sulle assunzioni di personale sanitario, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Le Usca sono sovraccariche di lavoro: sono appena 8 per coprire l’intero territorio provinciale. Ogni unità è costituita da 4 infermieri e 2 medici che devono fronteggiare bacini di popolazione da 100mila abitanti ciascuno. Sono state importanti, soprattutto in una prima fase, ma non risolutive. Ora l’onda della pandemia le ha travolte: paradossalmente, non riuscendo a dare una risposta a tutti i cittadini, rischiano di acuire la preoccupazione e l’ansia nei pazienti, soprattutto in quelli più fragili e soli.
Le Usca non sono il solo fronte aperto. Al 31 marzo, i posti letto della Rianimazione Covid del Dea (27) sono saturi, come pure quelli di Pneumologia del Fazzi (60), Malattie infettive al Fazzi (35) e a Galatina (32), Medicina Generale (20). Non c’è più posto al Pronto Soccorso Dea (dove 38 pazienti in Osservazione breve intensiva sono nei corridoi in attesa di collocamento nei reparti). Proprio al Dea, il fiore all’occhiello della rete ospedaliera locale, ed a Galatina capita di avere addirittura problemi con l’erogazione dell’ossigeno, che non è sempre disponibile.
C’è poi l’assurda vicenda della mancata proroga dei contratti agli Operatori socio-sanitari scaduti ieri. Circa 180 lavoratori sono stati collocati in ferie forzate negli ultimi 15 giorni dalla Asl su indicazione della Regione. Non confermare il contratto a questi lavoratori precari fino alla fine della pandemia, per poi sostituirli con altri lavoratori precari (quelli della graduatoria degli idonei del concorso di Foggia), è stato un atto politicamente irrazionale: da oggi partirà un iter che durerà almeno tre settimane tra sottoscrizione del contratto (a tempo determinato), formazione e vaccinazione (due cicli). A meno che non si voglia esporre questo nuovo personale al rischio contagio.
Siamo consapevoli di come la Asl sia costretta a fare le nozze coi fichi secchi: sposta personale da un ospedale all’altro, da un reparto all’altro, tamponando da una parte e creando disagi dall’altra. È giunto il momento di fare scelte vere. Non possiamo aspettare il Recovery Plan per incidere su un sistema sanitario regionale che è vicino al collasso, che in particolare in questa provincia concentra tutto sul Fazzi. Ora servono assunzioni vere, non sostitutive di personale precario con altro personale precario. Il presidente Emiliano e l’assessore Lopalco devono intervenire.
Il governatore si faccia promotore di un intervento diretto e urgente, chiaramente efficace anche in provincia di Lecce affinché ai cittadini salentini sia garantito l’accesso alle cure, che non le costringa a curarsi col fai da te, che assicuri a tutti il diritto alla salute costituzionalmente garantito. Non facciamo sentire sole le persone più fragili, non lasciamo da soli gli operatori della sanità pubblica spremendoli fino all’inverosimile.
Forse servirebbero meno interventi spot, meno messaggi sulle chat di micro-gruppi che rappresentano loro stessi e più coinvolgimento ed ascolto delle organizzazioni che rappresentano decine di migliaia di lavoratori e pensionati sul territorio”.
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