BRINDISI – Con circa 3.000 addetti diretti e nell’indotto, cresciuti negli ultimi 5 anni, la Puglia è la 6ª regione per export farmaceutico (4,4% del totale nazionale) che ha superato il miliardo di euro nel 2017.
Bari è tra le più importanti province farmaceutiche. E quello dei medicinali rappresenta il primo settore per export della provincia. Brindisi è tra le principali province per peso degli addetti totali nella manifattura. Senza dimenticare una rilevante presenza di aziende nelle altre province, soprattutto a Lecce e a Barletta-Andria-Trani.
A Bari e Brindisi, l’industria farmaceutica è fra i settori trainanti dell’economia e determina il 24% dell’export. Le imprese del farmaco dimostrano quindi di essere un asset strategico per gli investimenti, anche esteri, per l’occupazione qualificata e stabile – con un incremento di assunzioni a tempo indeterminato – e per lo sviluppo del tessuto produttivo locale.
La Puglia del farmaco rappresenta un’eccellenza in un contesto di eccellenza, quello del Mezzogiorno farmaceutico. Con 13.000 addetti diretti e nell’indotto e 25 impianti di produzione e ricerca il Sud ha fatto registrare negli ultimi 10 anni una crescita dell’export da record. È infatti è più che raddoppiato. Un risultato migliore della media europea e della Germania.
I dati sono stati presentati nel corso del roadshow di Farmindustria Innovazione e Produzione di Valore. L’industria del farmaco: un patrimonio che l’Italia non può perdere. L’incontro si è svolto presso lo stabilimento di Sanofi di Brindisi, con l’altra azienda del territorio, Merck, che ha uno stabilimento di produzione nell’area di Modugno-Bari.
“Giovani, donne, territori, investimenti, ricerca, produzione, export. Questi i “tag” che hanno determinato l’affermazione in Europa e nel mondo dell’Italia del farmaco – dichiara Antonio Messina, vicepresidente di Farmindustria – “Se oggi siamo i primi in Europa per produzione farmaceutica, dopo aver superato la Germania, lo dobbiamo a tutti questi fattori. Un successo che dimostra la qualità del nostro sistema Paese. E che, con una nuova governance di lungo respiro che garantisca l’accesso all’innovazione, può alimentare un circolo virtuoso, attraendo sempre più investimenti in ricerca e produzione, generando tanti altri posti di lavoro qualificati, moltiplicando le sinergie con l’indotto e le Università.
Insomma, i presupposti per continuare a fare bene ci sono. Il Sud già oggi è fondamentale per lo sviluppo del nostro settore in Italia e grazie alle sue molte eccellenze nazionali e internazionali lo sarà sempre di più nel futuro.”
“Innovazione e Produzione di valore” è un percorso partito sei anni fa dalla Toscana, che ha toccato anche Emilia Romagna, Lombardia, Lazio, Puglia, Abruzzo, Marche, Campania, Sicilia. “Sono molto orgoglioso – ha sottolineato Hubert de Ruty, Presidente e Ad di Sanofi Italia – che il nostro stabilimento di Brindisi abbia ospitato questo importante appuntamento di Farmindustria, che promuove il ruolo chiave del settore farmaceutico per l’economia del nostro Paese. Oggi l’Italia è prima in Europa per produzione industriale, un risultato a cui Sanofi ha ampiamente contribuito continuando a investire nei suoi 4 stabilimenti in Italia. In particolare, qui a Brindisi siamo da sempre al fianco delle Istituzioni e abbiamo da poco siglato un nuovo Accordo di Programma con la Regione – un quarto è in corso – che porta a oltre 130 milioni i nostri investimenti negli ultimi anni, se si considerano anche i progetti di ricerca con il Miur. Ma dobbiamo guardare più lontano. La mia proposta è per un accordo decennale alla cui definizione partecipino tutti gli stakeholder per il futuro di questo territorio, la sua crescita, la sua competitività e la sua leadership nella produzione industriale. Un progetto che potremmo chiamare “Alleanza strategica della salute 2025”, con l’obiettivo conferire all’Italia la laurea di Paese più attrattivo d’Europa”.
L’industria farmaceutica in Italia
L’Italia è il primo produttore farmaceutico dell’Unione Europea. Quest’anno ha infatti superato la Germania con una produzione di 31,2 miliardi, contro i 30 dei tedeschi. Un successo dovuto al boom dell’export che sfiora i 25 miliardi.
Industria farmaceutica che conta anche 200 aziende, 65.400 addetti (90% laureati o diplomati), 6.400 ricercatori e 2,8 miliardi di investimenti in produzione e ricerca nel 2017.
Il primo fattore di competitività dell’Italia è la qualità delle risorse umane. E le imprese in queste anni hanno continuato ad assumere.
Gli addetti nel 2017 hanno raggiunto quota 65.400 (93% a tempo indeterminato), 1.000 in più rispetto al 2016. E nell’ultimo triennio le assunzioni sono state 7 mila all’anno. Fiore all’occhiello del settore è l’occupazione giovanile: secondo i dati INPS, dal 2014 al 2016 gli addetti under 35 nell’industria farmaceutica sono aumentati del 10%, rispetto al +3% del totale dell’economia.
Proprio perché i giovani rappresentano il futuro, Farmindustria coordina – come prima associazione di categoria del Sistema Confindustria – un progetto pilota, avviato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), di Alternanza Scuola-Lavoro “in filiera”.
Senza dimenticare la percentuale di impiego femminile, che supera abbondantemente il 40% e nella R&S il 50%. Per venire incontro anche alle esigenze delle donne, enorme valore per il settore, nel conciliare lavoro e vita privata, le imprese del farmaco hanno sviluppato un welfare aziendale all’avanguardia.
Il comparto inoltre è tra i più green dell’industria: negli ultimi 10 anni le imprese del farmaco hanno ridotto i consumi energetici e le emissioni di gas climalteranti – che modificano il clima – di circa il 70% (più di 3 volte la riduzione per la media dell’industria).
E se nel nostro Paese, oggi si vive di più e meglio, lo si deve anche ai medicinali. È calata infatti la mortalità per le prime cinque cause di decesso degli anni ’80:
- -64% per malattie del sistema cardiocircolatorio;
- -25% per i tumori maligni. E 2 persone su 3 a cui è diagnosticato un cancro sopravvivono dopo 5 anni, 30 anni fa non arrivavano a 1 su 3;
- -47% per le malattie del sistema respiratorio;
- -63% per le patologie dell’apparato digestivo;
- –87% dal 1985 per l’HIV/AIDS. Grazie alla prevenzione e ai grandi progressi farmaceutici si può ormai considerare una patologia cronica.
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