Panta Rei, tutto scorre, Anche (e forse soprattutto) in politica. L’ondata dei Cinquestelle ha avuto l’effetto di uno tsunami travolgendo tutto e tutti, spazzando via buona parte della classe dirigente, almeno qui in Puglia. Non siamo a livelli del dopo Tangentopoli quando Berlusconi si impose vestendo i panni di imprenditore “libero e moderno”. Ma il voto del 4 marzo deve far riflettere. Ci riconsegna un’Italia divisa in due anche nelle urne: al Nord Lega e Forza Italia, con una spolverata di Fratelli d’Italia, al Sud (isole comprese) una valanga di grillini. Come il Regno delle Due Sicilie.
Sarebbe sin troppo semplicistico giustificare questo risultato con lo spauracchio della scarsa sicurezza sbandierato dai leghisti o come la panacea del Reddito di cittadinanza promesso dai Cinquestelle ricorrendo, magari, a ragioni storiche, scavando nel trito e ritrito refrain legato alla questione Meridionale, scomparsa – salvo qualche rara eccezione – dal dibattito politico.
Non è più (o non è soltanto) un voto di protesta, ma una scelta ragionata e consapevole. Gli italiani sono rimasti abbandonati per anni, lasciati soli in un mare in tempesta, alla vana ricerca di una bussola e ora si affidano alla zattera lanciata loro dai grillini. Certo, ora le parole d’ordine onestà, trasparenza e partecipazione – buone per urlare dai banchi dell’opposizione – non bastano più. Serve altro. Serve competenza. Serve serietà e abnegazione. Per trasformare quella che è una diagnosi in una cura. Per affrontare e risolvere i problemi. Il resto è aria fritta. In caso contrario Di Maio e Salvini rischiano di perdere in men che non si dica il bonus di fiducia che gli italiani gli hanno consegnato a piene mani.
Discorso a parte merita la Lega. Ha attecchito anche qui al Sud: oltre 10mila voti nel collegio di Lecce. Dimenticati nell’urna venticinque anni di offese e di insulti. I programmi elettorali hanno vinto sull’amor proprio.
La reazione scomposta e per certi versi paradossale di Renzi e compagni dopo la bruciante sconfitta dal Pd rappresenta l’esatta cartina al tornasole delle politiche: dopo il berlusconismo è finito pure il renzismo, ma i protagonisti non si arrendono all’evidenza, come attori in un palcoscenico continuano a parlare ad un pubblico che pian piano ha abbandonato la sala perché si sente lontano anni luce da atteggiamenti prevaricatori e arroganti. Insomma, il tempo delle mele è finito. E poi, suvvia, caro Renzi, le dimissioni si danno non si annunciano! Un peccato, perché sul piano dei diritti civili il Pd non ha demeritato, anzi, ha aperto una strada importante. Ma è nel rapporto con la sua gente e con i suoi antichi valori che è venuto meno. E anche strategicamente qualcosa non ha funzionato, basti pensare a quel pasticcio della legge elettorale (partorita con Berlusconi e Salvini) rivelatasi un boomerang. Non aver introdotto tout court l’uninominale è stato deleterio: a Roma ci vanno (anche) perfetti sconosciuti, tirati su a colpi di croci sul simbolo.
Il Pd, ma non da oggi, ha perso la Sinistra. E la Sinistra non riesce a farsi largo. C’è chi parla apertamente di flop ma è indubbio che Liberi e Uguali abbia deluso le aspettative arroccandosi probabilmente su vecchi schemi e su vecchi sistemi che ora non funzionano più.
Certo, Leu gode di tutte le attenuanti generiche, non fosse altro che per il fatto che sia un neonato movimento senza organizzazione e struttura partitica ma con all’interno uomini di partito, quasi un ossimoro. Ma non basta a giustificare un risultato deprimente. Gli elettori non hanno fatto distinzioni bocciando senza mezzi termini sinistra e centrosinistra. E Leu, probabilmente, si è affrancato troppo tardi dall’ombra del Pd per avere il tempo di diventare realmente credibile. Non c’è riuscito nemmeno D’Alema rimasto fuori dai giochi, tornato in Puglia senza chiedere alcun paracadute. Come avvenuto per altri: bocciati ma salvati, in Parlamento senza essere stati scelti. E la chiamano democrazia.
*direttore responsabile Salentolive24
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