Sono più di 54mila le aziende che in Puglia non rispettano gli «studi di settore». Per la precisione sono 54.441 sul totale di 196.895 partite Iva, obbligate all’analisi della congruità dei ricavi o dei compensi dichiarati. Pari al 27,6 per cento.
A rilevarlo un’indagine condotta dall’Osservatorio Economico di Davide Stasi, in collaborazione con l’Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili (Aidc), sezione di Lecce.
Dall’analisi risultano non congrue 12.528 società di capitali, 5.869 società di persone e 36.044 tra ditte individuali, lavoratori autonomi e liberi professionisti.
In particolare, gli studi di settore, elaborati mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, consentono di stimare i ricavi o i compensi che dovrebbero essere dichiarati dal contribuente. Sono utilizzati, dunque, per verificare la congruità e la coerenza agli indicatori economici predeterminati, con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi, all’organizzazione, ai prodotti e ai servizi resi dall’attività, alla localizzazione geografica e ad altri elementi, come l’andamento della domanda, il livello dei prezzi, la concorrenza e non solo. In alternativa, laddove non risultino applicabili a certe imprese, si ricorre ai parametri quali strumenti presuntivi dei ricavi.
Rappresentano un ausilio per l’Amministrazione finanziaria nell’attività di accertamento e controllo.
Con le dichiarazioni 2016 (riferite all’anno d’imposta 2015), non sono risultate congrue 17.151 aziende della provincia di Bari, 5.238 di quella di Barletta-Andria-Trani, 5.745 di quella di Brindisi, 7.568 di quella di Foggia, 10.790 di quella di Lecce e 7.949 di quella di Taranto.
In questi casi, l’attività istruttoria dell’Agenzia delle entrate viene preceduta da un invito al contraddittorio per dare l’opportunità al contribuente di difendersi, fornendo elementi ed informazioni utili a «giustificare» lo scostamento dai parametri.
«Gli studi di settore lasceranno il posto ad un nuovo strumento: gli indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa)», spiegano Stefania Mazzotta e Mirko Simone, dell’Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili. «Dal 2018, per l’anno d’imposta 2017, gli Isa andranno a sostituire gli studi di settore di quasi un milione e mezzo di contribuenti. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha già individuato i primi 70 indici sintetici di affidabilità, di cui 29 elaborati per il settore del commercio, 17 per il comparto dei servizi, 15 per il manifatturiero e 9 per i professionisti».
Di più: «i contribuenti che risulteranno affidabili avranno accesso a benefici premiali, fra cui l’esclusione dagli accertamenti di tipo analitico-presuntivo e una limitata applicazione degli accertamenti basati sulla determinazione sintetica del reddito. E’ anche prevista – aggiungono i due commercialisti – la riduzione dei termini per l’accertamento e l’esonero, entro i limiti previsti, dall’apposizione del visto di conformità per la compensazione dei crediti di imposta ovvero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi Iva con importo non superiore a 50mila euro».
Di questo e di altri argomenti si discuterà nel corso del sesto meeting nazionale Aidc, in programma venerdì 27 ottobre, a Lecce al Politeama, sul tema “Professionisti. Protesta. Proposta”. Tra i relatori anche il viceministro dell’Economia, Luigi Casero e il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini.
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