Sabato 10 giugno (ore 18.30, ingresso su invito) al Castello Aragonese di Otranto, in provincia di Lecce, si terrà l’inaugurazione di due importanti e imperdibili mostre tra arte e fotografia. Sino al 24 settembre, dopo lo straordinario successo della mostra dedicata a Steve McCurry nell’estate 2016, il Comune di Otranto e Civita Mostre propongono, infatti, nelle sale e negli spazi del Castello, “Caravaggio e i caravaggeschi nell’Italia meridionale” a cura di Maria Cristina Bandera e Genius Loci, nel teatro dell’arte di Roberto Cotroneo. Alla presentazione interverranno Luciano Cariddi (sindaco di Otranto), Alberto Rossetti (AD Civita Mostre) e gli stessi Cotroneo e Bandera. A seguire (ore 20.30) proiezione del film “L’ultimo Caravaggio” del regista napoletano Mario Martone.
“Caravaggio e i caravaggeschi nell’Italia meridionale” propone una selezione di opere provenienti dalla collezione della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, che custodisce il lascito di quello che stato il pi importante storico dell’arte italiano ma anche uno straordinario collezionista. Roberto Longhi (Alba 1890 Firenze 1970) una delle personalit pi affascinanti della storia dell’arte del XX secolo. Alla pittura del Caravaggio (Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Milano 1571 Porto Ercole 1610) e ai suoi seguaci, i cosiddetti caravaggeschi, ha dedicato una vita di studi, a partire dalla tesi di laurea sul Caravaggio del 1911. Si trattò, a quella data, di una scelta pioneristica, tanto all’epoca il pittore era uno dei meno conosciuti dell’arte italiana. Longhi seppe da subito riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi, così da intenderlo come il primo pittore dell’età moderna. Nella sua dimora fiorentina villa Il Tasso , oggi sede della Fondazione che gli intitolata, raccolse un numero notevole di opere dei maestri di tutte le epoche, che furono per lui occasione di ricerca e di studio. Tra queste il nucleo più importante e significativo è senza dubbio quello che comprende le opere del Caravaggio e dei caravaggeschi, formatosi attorno al Ragazzo morso da un ramarro del Merisi, da lui acquistato verso il 1928. Il dipinto, che risale all’inizio del soggiorno romano di Caravaggio, all’incirca nel 1596-1597, colpisce innanzitutto per la resa del brusco scatto con cui il giovane si ritrae improvvisamente per il morso di un ramarro, quasi come in una istantanea fotografica, ma anche per la diligenza con cui ha reso il brano della natura morta con la caraffa e i fiori, un genere pittorico riportato a dignità autonoma proprio dal Caravaggio. Nella mostra, curata da Maria Cristina Bandera, direttrice scientifica della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, accanto al Caravaggio sono esposti i dipinti dei suoi seguaci meridionali o attivi nell’Italia del Sud, che fanno parte della stessa collezione e offrono una efficace testimonianza del significato storico della sua pittura. Grandi capolavori possono ritenersi cinque tele che raffigurano gli Apostoli, del giovane Jusepe de Ribera e la Deposizione di Cristo di Battistello Caracciolo, il principale caravaggesco napoletano. Il profondo radicamento dell’esempio del maestro nell’arte napoletana attestato dal David di Andrea Vaccaro e dal drammatico San Girolamo del Maestro dell’Emmaus di Pau. Nelle opere di Matthias Stom, a lungo attivo in Sicilia, si materializza una perfetta sintesi tra la cultura nordica di partenza legata al caravaggismo olandese e la pittura italiana. Sono inoltre presentate opere di Lanfranco, del Maestro dell’Annuncio ai pastori, di Filippo Napoletano e di Giacinto Brandi. Il percorso si conclude con due capolavori di Mattia Preti, l’artista che pi di ogni altro contribuisce a mantenere per tutto il Seicento la vitalitá della tradizione caravaggesca. Nell’ambito della mostra infine prevista la proiezione del film di Mario Martone dal titolo L’ultimo Caravaggio (durata 40′), realizzato nel 2004, nel quale il grande regista ricostruisce, con dettagli dei dipinti e immagini girate delle periferie napoletane, la vicenda artistica ed umana del Caravaggio nei suoi ultimi anni, vissuti nell’Italia meridionale.
Dopo la presentazione in primavera nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, approda anche a Otranto, Genius Loci, nel teatro dell’arte, esordio di Roberto Cotroneo nella sua attività di fotografo, intrapresa negli ultimi anni. L’esposizione (così come il libro che l’accompagna, pubblicato da Contrasto) il risultato di questo lungo lavoro, sul rapporto tra pubblico e arte, tra opere e immagini fotografiche. Roberto Cotroneo, scrittore e saggista, autore tra gli altri di un romanzo Otranto e di una raccolta di poesie I demoni di Otranto dedicati alla città salentina, da alcuni anni ha affiancato il suo lavoro di scrittura con quello della fotografia. E per più di tre anni ha osservato e fotografato il pubblico negli spazi espositivi. Nei loro movimenti, nelle posture, nelle espressioni, nella capacità attraversare gli spazi, le soglie, i luoghi. Le fotografie esposte conducono il visitatore in una sorta di teatro, in una scena dove gli attori entrano sul palcoscenico dell’arte, o si preparano a farlo. Le sale di un museo d’arte prevedono un pubblico che guarda le opere, ma non un pubblico che osserva un pubblico. Eppure tra le prime cose di cui si deve prendere atto, e che è l’origine di questo lavoro, che nel teatro dell’arte, la scena non è quella dell’opera ma del pubblico. Come scrive l’autore, l’opera, nell’epoca della riproducibilità tecnica, ritrova la sua unicità solo attraverso la condivisione con il visitatore, sottraendo la sua potenza estetica per cederla a chi passa, a chi si ferma, a chi guarda.
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