“Andare a teatro è sospendersi“, così Paola Leone – regista e direttrice artistica della Compagnia Io Ci provo – risponde alla domanda cruciale “Perché andare a teatro?” . Un punto interrogativo lanciato agli studenti dell’Università del Salentoche, stamattina, hanno partecipato all’incontro “Dacché ho conosciuto l’arte questa cella è divenuta una prigione” a cura di Maria Chiara Provenzano nell’ambito degli appuntamenti di “Palchetti laterali“.
Ogni spettatore dismette un ruolo, esce dal flusso ininterrotto del tempo quotidiano, sconfina oltre un qualche deperibile io ed esce da se stesso come si esce dalla propria casa e dalla propria vita per scegliere un posto in platea e vivere – attraverso gli spettacoli che innescano un tale cortocircuito – una sospensione. Alla stregua di ogni attore, ovvero ogni chiamato alla discesa da palombaro dentro l’ignoto che la drammaturgia di una storia indaga. L’esercizio di sospensione è un esercizio di libertà, in quanto tale genera ricerca: del personaggio, di una voce, di sé attraverso uno smarrimento che restituisce interamente tutto. Immaginate di esercitare questa sospensione, questa libertà, dentro un carcere. Dimenticate per un attimo la gentile geometria del foyer di un teatro pieno di atmosfera e circondato da una città in cui la quotidianità sciama, pensate questo esercizio in rapporto allo spazio di una città invisibile (il carcere di Lecce), ma non in senso calviniano, bensì resa tale dalla mancanza di sguardo che spesso separa i cittadini dai reclusi, chiusi dentro dai chiusi fuori, questi ultimi presi nel limbo labilissimo di una mancata presa di coscienza spesso rinviata sino ad un fine cecità mai.
Paola Leone ha più volte ribadito, ed suoi atti e percorsi lo testimoniano ormai da anni, di aver sempre guardato “dove nessuno guarda“. E attraverso questa potentissima capacità e volontà di sguardo dentro, rivolta alla popolazione detenuta ed in special modo alla sezione maschile R1 ed R2 della Casa Circondariale Borgo San Nicola, nasce e cresce la compagnia di attori “Io Ci Provo”, che da quest’anno (dopo un percorso lungo sei anni, nato nel 2005 nel carcere di Taranto) ha come obiettivo la progettazione del Centro teatrale Aperto omonimo, ovvero uno spazio inteso come cantiere culturale e lavorativo per i detenuti che vi lavoreranno e per la città se saprà meritarlo.
“Il teatro è soprattutto teatro,” spiega Paola Leone insieme ad i suoi attori durante l’incontro con gli studenti (documentato dalle fotografie di Stelvio Attanasi), “ben oltre le categorie di genere, un teatro crea comunità, quindi famiglia, costruisce relazione, confronto, cambiamento.” E questo concetto diventa improvvisamente lampante per chi è stato spettatore, dunque chi si è “sospeso”, durante gli spettacoli portati in scena – sia dentro che fuori dal carcere – dagli attori della Compagnia Io Ci Provo, basti pensare al terremoto emotivo suscitato nel pubblico, quanto nei critici e negli addetti ai lavori, dall’omaggio a Pasolini “PPP Passione Prigione Pietà e/o Porta Puttana Pasolini” che ha conquistato la vertiginosa vetta di quelle poche opere davvero necessarie con oltre 50 repliche da giugno a dicembre.
In questi giorni, la Compagnia Io Ci Provo si prepara ad andare in scena asul palcoscenico del Teatro Paisiello, nell’ambito della stagione 2017 del Teatro Pubblico Pugliese, con un appuntamento imperdibile in programma il 6 aprile: “L’ultima cena di Alfredo Traps“, tratto dal racconto La panne di Friedrich Durrenmatt e con Alessio Pallara, Gaetano Spera, Maurizio Mazzei, Fiodor Gjoni, Giovanni Partipilo, Daniele Falanga e Maria Cucurachi (voce narrante). Propedeudicamente allo spettacolo, ecco l’incontro di stamattina, un’occasione per ascoltare gli attori protagonisti di questo straordinario viaggio che ha radici nell’Uomo. Del resto, come ha raccontato l’attore Gaetano Spera, rispondendo ad una delle tante ed intense domande degli studenti universitari: “Prima di iniziare questo percorso teatrale ero una persona totalmente diversa, il laboratorio teatrale non è un atto fine a se stesso, comporta delle scelte radicali e culturali che generano un’inevitabile e salvifica distanza tra il retaggio del mondo carcerario fatto di regole non scritte e la bellezza liberatoria del codice dell’arte che ti pone davanti ad uno specchio e ti spinge ad una metamorfosi interiore totale. Oggi sento e riconosco di aver trovato la mia vocazione ed ispirazione, amo lavorare per migliorarmi e studiare per potermi esprimere al massimo durante la mia ricerca attoriale.“
Questo cambiamento è inclusivo, investe il pubblico, lo rieduca mettendolo a parte di un teatro che diventa stile di vita e confronto straordinario nonché rielaborazione per l’intero sistema penitenziario oggi capace di sostenere il lavoro degli attori detenuti grazie a strumenti indispensabili quali l’Articolo 21 che consente alla Compagnia di far parte di cartelloni esterni, e dunque di poter lavorare ed autofinanziare la propria ricerca, con l’assegnazione della scorta nei giorni in cui sono previsti gli spettacoli o eventuali altre collaborazioni.
La città, la società civile, chiunque può fare moltissimo, ognuno come può, per partecipare alla realizzazione del Centro Teatrale Aperto Io Ci Provo, già solo regalandosi l’occasione di far parte del pubblico dei loro spettacoli capaci, grazie ad una cifra artistica di alto livello e ad un’onda d’urto in grado di inabissare molto del minimalismo troppo prudente spesso propinato dal teatro contemporaneo, di sospendere anche l’ultimo degli spettatori.
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