Ci sono momenti in una stagione nei quali bisogna accontentarsi di vedere piccoli segnali positivi per intravedere la luce. Il Lecce della gara di Benevento non è stato vincente, ma di sicuro ha mostrato diversi passi in avanti in un percorso di crescita. Baroni sta trovando la condizione atletica del suo gruppo che, a quanto si è visto, sarà fondamentale per un gioco aggressivo e fatto di ripartenze e verticalizzazioni, sicuramente differente da quello manovrato visto con Liverani e da quello fatto di individualità visto con Corini.
Nel recente passato il popolo giallorosso aveva, quindi, visto un calcio diverso, ma soprattutto era stato abituato a vedere subito un discreto gioco. Liverani, dopo la promozione in cadetteria, vide cambiata quasi tutta la rosa, eppure riuscì sin dalla prima giornata a far vedere per due terzi di gara un bel calcio che poggiava sulle sue idee. Anche Corini, sebbene non avesse avuto dalla sua la possibilità di svolgere il ritiro precampionato, mostrò subito di comprendere come sfruttare al meglio le qualità individuali, anche se la squadra ha mostrato nel tempo poco equilibrio.
Adesso, invece, il Lecce sta procedendo con un cambiamento graduale, impervio, difficile. Il diktat è quello di creare un modello di gioco che possa durare negli anni, al di là dei tecnici. Il 4-3-3 è stato indicato da Corvino come il modello di gioco a lui più congeniale per la scelta delle pedine da valorizzare e dunque Baroni sta seguendo questa strada. Diciamocela tutta, in queste prime partite si è visto poco gioco, buon posizionamento in campo e molta determinazione a Benevento, ma ancora gli intoppi sembrano prevalere sulle idee del tecnico.
Il primo fra tutti è quello della posizione in campo di Coda che così è troppo solo e con poco ritmo quando gli arrivano i palloni che in passato riusciva a buttare in rete. L’attaccante campano lo scorso anno è stato devastante in coppia con Stepinski prima e con Pettinari nella seconda parte di stagione. Vederlo vagare solo per tutto l’attacco non è piacevole soprattutto perché Coda è una delle poche certezze in una squadra con tanto potenziale, ma pur sempre giovane. Aver segnato un gol, per giunta solo su rigore, in tre match di Serie B è il più grande campanello d’allarme per un Lecce che ha bisogno come il pane di mettere la palla in rete per far salire il livello di serenità mentale, indispensabile per macinare punti.
Serenità di cui necessita tutto l’ambiente ed è per questo che bisognerebbe evitare di creare una questione Rodriguez oltre al fatto che sarebbe indispensabile far rinascere armonia tra il tifo più passionale e il club. Rodriguez è probabilmente il sacrificato più in vista della scelta di giocare con una punta, ma la sua assenza venerdì non deve far scattare processi. Tutti hanno capito dalle parole di Corvino quello che sarà il sistema di gioco per questa stagione. In questo momento il Lecce ha Coda come titolare e lo spagnolo come riserva. Rodriguez sarebbe entrato sicuramente contro Cremonese e Como se non si fosse fatto squalificare stupidamente al termine della scorsa stagione. Sarebbe stato di quelle due gare perché Baroni, quando deve provare il “tutto per tutto”, si affida alla doppia punta. A Benevento, invece, il Lecce non poteva rischiare di perdere dopo le tante occasioni perse in attacco e, dunque, la scelta di non mettere Rodriguez nel secondo tempo è accettabile per la piega che aveva preso il match.
La questione tifosi è molto delicata perché il tifo organizzato della nord è stato sempre una spinta importante per i successi del Lecce e lo sarebbe ancora di più quest’anno con una squadra così giovane e molto delicata dal punto di vista psicologico. Contro il Como la loro assenza si è fatta sentire e probabilmente il vuoto da loro lasciato in curva si protrarrà a lungo.
Naturalmente gli ultras sono liberi di scegliere se andare o meno sugli spalti del Via del Mare però è doveroso dire che la scelta avrebbe avuto più senso se allo stadio i posti disponibili fossero stati solo un migliaio. Diverso è quando la capienza è al cinquanta per cento in uno stadio così grande dove per molti anni ci sono stati numeri di spettatori ben più bassi rispetto alla capienza massima imposta oggi dalla pandemia.
Quello che non si comprende, invece, è come si possa criticare una società come quella giallorossa, con l’accusa di cercare unicamente il profitto. Se i proprietari del Lecce fossero stati di altre regioni o anche stranieri, come in tanti casi di squadre italiane oggi, magari si sarebbe potuto sottolineare questo, fermo restando che le passioni sportive dei tifosi si alimentano con i soldi, e non importa da quale parte arrivino. Nel caso del Lecce, però, i proprietari sono tifosi che hanno evitato nel 2015 il fallimento del club e con sacrificio lo hanno riportato nelle categorie a girone unico. Se oggi questi soci provano a rientrare delle perdite e a valorizzare il parco giocatori, avendo deciso di affidarsi due anni fa ad uno che è un mago nel trovare talenti, lo fanno soltanto per dare un futuro roseo al club. Un club che dal 1927 non è mai fallito e che ha sempre regalato passioni alla gente del Salento. Criticare è il sale del calcio, si possono fischiare giocatori, tecnici e dirigenti, ma non facciamoci male con accuse labili in momenti così delicati economicamente con la pandemia che è ancora un’incognita per ogni settore.