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Riabitare il paese: il Salento ha perso 15mila abitanti in 7 anni

CASTIGLIONE D’OTRANTO – Esiste un Salento “del margine” così come esiste un’Italia marginalizzata: territori decentrati alle prese con un autentico declino demografico ed economico. In queste aree, distanti dal “centro”, anche l’esercizio dei diritti di cittadinanza si fa sempre più difficile. C’è, però, il rovescio della medaglia. A questa narrazione in negativo, ad ogni modo reale, si deve affiancare quella in positivo, altrettanto vera: lontano dall’essere piccoli mondi antichi, queste aree sono spesso fucine di innovazione sociale ed economica, comunità dall’elevato civismo e luoghi della sperimentazione politica da parte della cittadinanza attiva oltre (e più) che delle amministrazioni.

“L’inversione dello sguardo” sui territori che si spopolano – ancora più urgente in tempi di pandemia – è la rotta principale imboccata dal variegato gruppo di ricerca che ha stilato il “Manifesto per riabitare l’Italia” (Donzelli, 2020). È da questo che prenderà spunto il dialogo “I margini al centro”, appuntamento online programmato dall’organizzazione di volontariato Casa delle AgriCulture Tullia e Gino di Castiglione d’Otranto con il patrocinio del Dipartimento di Storia Società e Studi sull’Uomo dell’Università del Salento.

Sulla pagina Facebook dell’associazione,giovedi 21 gennaio alle ore 18, il tema sarà approfondito assieme ad Antonio De Rossi, docente di Progettazione Architettonica del Politecnico di Torino e curatore di “Riabitare l’Italia” (Donzelli, 2018), e Angelo Salento, docente di Sociologia economica e del lavoro presso l’Università del Salento. In apertura, porgerà il saluto istituzionale Mariano Longo, direttore del Dipartimento Storia Società e Studi sull’Uomo di UniSalento. Modererà il dibattito Tiziana Colluto, giornalista e presidente di Casa delle Agriculture Tullia e Gino, che da un decennio è impegnata in un processo di restanza nel Capo di Leuca.

Invertire lo sguardo: il senso di Riabitare l’Italia con Antonio De Rossi

Tra le voci più autorevoli in Italia sul tema legato alla vita dei territori soggetti a spopolamento, Antonio De Rossi, architetto, è professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana e direttore dell’Istituto di Architettura Montana e della rivista internazionale «ArchAlp» presso il Politecnico di Torino. Ha al proprio attivo diversi progetti architettonici e di rigenerazione sulle Alpi, con cui ha ottenuto premi e riconoscimenti. E’ autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche, e con i due volumi «La costruzione delle Alpi» (Donzelli, 2014 e 2016) ha vinto i premi Mario Rigoni Stern e Acqui Storia. Il suo nome è legato anche alla rinascita e rigenerazione di Ostana, borgo delle valli occitane dove più forte è stato il morso dello spopolamento: contava 1.200 abitanti negli anni ’20, ridotti a sei negli anni ’80, quando è iniziato il percorso inverso di rivitalizzazione, in cui l’architettura ha funto da elemento chiave.

«La pandemia – spiega De Rossi in vista dell’appuntamento di giovedì – in quanto acceleratore e moltiplicatore della crisi ambientale e dei modelli di sviluppo degli ultimi decenni, ha messo in evidenza profonde criticità ma anche inattese opportunità non solo delle montagne e delle aree interne, ma anche dell’intero sistema insediativo italiano. I due volumi “Riabitare l’Italia” (pubblicato nel 2018 a cura dello stesso De Rossi, ndr) e “Manifesto per riabitare l’Italia” (edito nel 2020 a cura di Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli) propongono una “inversione di sguardo” e un progetto di ripensamento dell’intero paese proprio a partire dai suoi margini, nell’idea che qui si giochino alcune sfide fondamentali per il territorio italiano del prossimo futuro».

«Lo spopolamento non è un processo irreversibile, ma servono politiche pubbliche»

«A scanso di equivoci, è bene rimarcare – chiosano da Casa delle Agriculture che lo spopolamento non è un processo inesorabile e irreversibile: altri territori italiani, che hanno vissuto il problema prima di noi, hanno dimostrato che è possibile invertire la tendenza, a patto che si attuino politiche pubbliche mirate, lungimiranti e costanti, politiche da elaborare ai diversi livelli istituzionali, compresi quelli di prossimità, e che qui intravediamo a stento».

Fondamentale è spostare l’asse del ragionamento, per passare dalla dominanza del punto di vista metropolitano alla centralità dei territori fiaccati dalla sofferenza demografica ma che pure costituiscono “inesplorate opportunità di coesione, solidarietà e uguaglianza”. È un processo necessario e anche non più rinviabile: il Covid-19, con le sue conseguenze, ha acuito la crisi di egemonia dei grandi agglomerati urbani dove, dalla fine del Novecento, continua ad amplificarsi il divario tra ceti sociali. Non si sta meglio nell’Italia dei “vuoti”, segnata dalla continua fuga di persone, economie e diritti, aree in cui allo smantellamento dei servizi essenziali (con la chiusura di scuole, uffici postali, ambulatori, negozi di vicinato) si sommano l’affievolimento dei servizi di trasporto, di connettività e conciliazione familiare e la perdita di occasioni di lavoro. Territori sempre più fragili anche dal punto di vista ambientale, poiché i grandi patrimoni di terre, boschi e culture devono fare i conti con incendi e cementificazione selvaggia, dissesto idrogeologico, scarsa manutenzione e abbandono.

Nel Salento è tema essenziale: ecco i numeri

«Comprendere a quali condizioni è possibile riabitare i territori è decisivo per il Salento. Abbiamo bisogno di un modello di sviluppo, ma anche di un modello di benessere collettivo che offra alle generazioni giovani buoni motivi per restare e per ritornare». A dirlo è Angelo Salento, professore associato di Sociologia economica e del lavoro presso l’Ateneo leccese e tra coloro che hanno contribuito a redigere il Manifesto per Riabitare l’Italia.

Per quanto trascurato, il tema è essenziale per il territorio leccese. Dopo un costante aumento del numero di abitanti, stando ai dati Istat relativi al bilancio demografico elaborati da Casa delle Agriculture, da sette anni la provincia registra una progressiva diminuzione: i residenti sono scesi dai 806.412 del 2014 ai 791.122 del 2019, una contrazione pari a -15.290. È come se in cinque anni fosse sparito un intero paese grande quanto Galatone. Si allarga la forbice tra nascite (appena 5.064 nel 2019) e decessi (8.235), con dati che si mantengono costanti nell’ultimo quinquennio. Positivo negli ultimi vent’anni, dal 2018 è diventato negativo anche il saldo migratorio: siamo sempre più terra da cui si parte e non in cui si arriva. Il tasso di decrescita nel 2019 è stato pari a -0,50 per cento (era -0,10 per cento nel 2014).

Dentro questi numeri, tuttavia, c’è un’altra preoccupante verità: la decrescita demografica, pur in linea col dato regionale (-0,52 per cento nel 2019) ma superiore a quello nazionale (-0,19 nel 2019), si associa a un importante squilibrio territoriale. A perdere residenti sono i centri minori e più distanti dal capoluogo, in primis quelli del sud Salento e dell’entroterra otrantino, dove più marcata è la polverizzazione dei Comuni (tra l’altro quasi sempre al di sotto dei 5mila abitanti, residenti anche nelle frazioni) e dunque dei servizi. Di contro, sempre più attrattivi negli ultimi anni sono stati Lecce e i comuni della sua cintura, che hanno assorbito una fetta della popolazione in età produttiva (e fertile) dal resto della provincia (ciò si è verificato soprattutto a Cavallino, Lizzanello, Lequile, San Pietro in Lama, mentre iniziano a vivere una battuta d’arresto Monteroni, Surbo e San Cesario).