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“Un inquinante atmosferico complice della diffusione del coronavirus”

LECCE – Esiste una precisa correlazione tra un determinato tipo di particolato atmosferico, il Pm 2.5, e il Covid19. Il legame sembra essere connesso a peculiari dinamiche biochimiche che consentono al coronavirus di essere molto più aggressivo verso soggetti più cronicamente esposti al Pm 2.5. A questo risultato è giunta una ricerca coordinata da Mauro Minelli – specialista in Immunologia clinica e Allergologia, docente di Igiene generale e applicata all’UniPegaso e referente per il Sud Italia della Fondazione medicina personalizzata – in collaborazione con l’Università de L’Aquila, presentata ieri nel corso di un forum on line. L’iniziativa si è svolta sotto l’egida della Fmp (Fondazione Medicina Personalizzata); media partner Adnkronos.

Secondo questo studio il Pm 2.5, un particolato sottilissimo, produce una proteina, Ace 2, che si trasforma in un passepartout per entrare nell’organismo umano diffondendo più facilmente e velocemente il Covid 19. Non si tratterebbe, dunque, di una trasmissione diretta ma è possibile affermare con plausibile certezza che l’inquinamento, o meglio quel tipo di inquinamento, è “complice” della diffusione del coronavirus.

“Il Pm 2.5 – spiega Minelli – è un particolare miscuglio di sostanze molto piccole del diametro inferiore ai 2,5 micron – praticamente 30.40 volte inferiore ad un granello di sabbia – che derivano da combustibile di carburanti per autoveicoli, da raffinerie e centrali elettriche, dalla combustine di materiali legnosi o di qualunque altro materiale a seguito di incendi,  ma anche dal fumo di tabacco. L’Ace 2, invece, è un recettore applicato alla superficie respiratoria. E’ grazie a questa dinamica che il nuovo coronavirus riesce ad entrare nelle cellule dell’ospite innescando la malattia”. Una sorta di Cavallo di Troia che scatena il virus. La proteina denominata Ace2 vive quasi una paradosso: prodotta per difendere l’organismo umano, “per uno strano gioco del destino finisce per diventare la serratura attraverso cui il virus entra nell’organismo umano”. Su queste dinamiche gioca un ruolo significativo anche la valutazione genetica “che espone i soggetti a rischi maggiori o minori”. Ma ad infliggere un altro colpo letale all’organismo è il biossido di azoto che fa leva “su un sistema polmonare già sufficientemente colpito e reso abbastanza  vulnerabile dal Pm 2.5”.

La ricerca ha messo in relazione l’andamento Pm 2.5 e Covid-19 nella regione Puglia. In base ai report annuali sulla qualità dell’aria in Puglia di Arpa Puglia, tra il 2013 e il 2018 sono state effettuate in tutta la regione 45459 rilevazioni che hanno rinvenuto il Pm 2.5. Il mese di dicembre è stato quello durante il quale si sono registrate più rilevazioni di Pm 2.5 (4090/45459, 9%), con un valore medio pari a 18.30±11.45 µg/m3. La provincia con il valore medio di Pm 2.5 più elevato è risultata essere Brindisi (15.58±9.65 µg/m3), mentre i valori più bassi sono stati registrati per la provincia di Taranto (12.21±5.84 µg/m3).

Quello di Taranto è un caso emblematico. E’ una delle città più inquinate d’Europa che, dal 2011, ha  ridotto l’emissione del Pm 2.5 (come risulta dai dati ufficiali dell’Arpa), anche se poi ha prodotto enormi quantità di altri inquinanti non però così correlati al coronavirus come il Pm 2.5. L’unico dato disallineato tra quelli pugliesi riguarda la città di Foggia, prima città pugliese dove si presume che il covid abbia fatto il suo ingresso.

Ad ogni buon conto, in Puglia – come si evince dai dati fin qui raccolti nel corso della pandemia – la bassa penetrazione del Pm 2.5 ha avuto un minore effetto devastante rispetto ad altre zone d’Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali. Ed ecco – come sottolinea Minelli –  “la correlazione con l’ambiente – e non magari legata solo al minor numero di tamponi effettuati, piuttosto che alle poco credibili variazioni termiche – potrebbe offrire una riposta documentata alla differente prevalenza del coronavirus nelle varie macroaree del paese”.

A “benedire” questa ricerca è stato il dottor Giovanni Baglio, responsabile area studio del viceministro alla Salute Pierpaolo Silleri, intervenuto ieri in un forum on line in rappresentanza del Governo: “Studi come questi permettono di fornire un tassello significativo nella ricostruzione del puzzle molto complesso dove probabilmente entrano in gioco dinamiche ambientali, genetiche e interazioni tra inquinanti e stili di vita”.