Stefano Donno, editore e critico
“Ho assistito veramente a qualcosa di prezioso l’altra sera, presso la sede della compagnia teatrale Scena Muta, in via Bologna a Copertino. Una specie di prova generale (a porte chiuse) di un piccolo gioiello anzi di un capolavoro che è stato lo spettacolo teatrale LUSTRINI – liberamente ispirato alle opere dello scrittore Antonio Tarantino – che ha visto come protagonisti il Maestro Luca Toracca, attore di spessore nel suo essere sul palco e di grande impatto performativo, socio fondatore del Teatro dell’Elfo di Milano, e il sempre più bravo Ivan Raganato. Un’azione teatrale, quella dei due attori, che mi ha letteralmente incantato, e particolarmente commosso per tutta una serie di aspetti interpretativi e scenici che hanno a che fare con il sociale, l’antropologico, il religioso e il sociologico. Linea di senso tra il serrato scambio di battute acido, crudo, schietto, terribile, senza fronzoli è stata la rappresentazione di una giornata tipo di due personaggi in cerca di deriva, due clochard e il loro universo fatto di illusioni, poesia, utopie spicciole tutto ben organizzato sul piano ontologico di una panchina. L’un contro l’altro, l’un con l’altro – in una destinalità tragica, misera, forse mai troppo banale – armati solo di parola, amanti della loro solitudine, devastati dalla loro spicciola, calda aderenza reciproca di vite finite. Lustrini alias Toracca, e Cavagna, ossia Raganato hanno dissezionato tutto l’olezzo della decomposizione sociale in cui si possono trovare due senza tetto magari in una metropoli “da bere” come Milano. E che oggi non è più tanto da bere … anche se questa è un’altra storia. Cosa rimane da fare, se non amare lo squallore del vivere di espedienti, di compromessi con se stessi e la dignità che ruggisce come un leone famelico dall’interno e ti distrugge l’anima e le carni. Sono personaggi ben definiti, nella loro essenza e forma, schiacciati dai loro ricordi, e da un futuro non più sperabile, forse non voluto, forse desiderato ma irraggiungibile, per due come il Lustrini e il Cavagna, che non sono del tutto dei nichilisti passivi, anzi trovano in una specie di romantica decadenza la forza di essere nichilisti tout court con qualche lacrimuccia pregna di compassione per una vita misera e miserevole (della quale forse si compiacciono non per autogiustificazioni ma per energie vitali esaurite dalle sconfitte e dalle delusioni). Due personaggi diversi per umanità e cultura, per percorsi di vita, uniti da un unico tragico finale.”