Primi anni novanta. Savino è un ragazzino alle prese con una delle fasi esistenziali più complicate: l’adolescenza. Cruciale per lui sarà un’estate particolare, segnata da incontri importanti che lo porteranno a una maggiore consapevolezza di sè.
La sua storia, raccontata ne “Il sentiero dei figli orfani”, ultimo romanzo di Giovanni Capurso, edito da Alter Ego, si sviluppa a San Fele, in un paesino lucano, dove trascorre le sue giornate in compagnia dell’amico Anguilla e nel quale vive con la sua famiglia, soprannominata “Trentadue” per via di un antenato che, nel contare le pecore, passava dal trentuno direttamente al trentatré. Il ragazzo cresce in un ambiente familiare tipico di quegli anni, in cui il dialogo tra genitori e figli spesso non era aperto come quello di oggi, con gli adolescenti costretti a trovare altrove le risposte alle loro domande sui rapporti affettivi e sulla sessualità. Savino non trova un punto di riferimento neanche nel fratello maggiore Aldo, chiuso e poco disponibile nei suoi confronti, e che riesce addirittura, anche se inconsapevolmente, a conquistare la ragazza di cui il ragazzino è infatuato.
Savino cerca di approcciarsi all’amore non senza qualche difficoltà, dovute non solo alla sua scarsa esperienza, ma anche al suo carattere pudico e timido. È Miriam, una ragazza che si mostra abbastanza disinibita e maliziosa, a catturare la sua attenzione e a fargli tremare il cuore. Un apparente punto di riferimento, invece, sembra trovarlo in Adamo, un uomo che vive solitario, dal passato misterioso, che seppur con qualche remora momentanea, riesce a instaurare con Savino un rapporto confidenziale, permettendo al ragazzo di confrontarsi con una persona adulta su diversi temi, compreso quello religioso.
I colpi di scena non mancano in questo romanzo di formazione narrato con stile da Giovanni Capurso e che riporta il lettore indietro nel tempo, attraverso i ricordi del protagonista, il quale, nel prologo, da adulto si ritrova a rinvangare un passato significativo, anche se ormai remoto. Nel raccontare le vicende del giovane Savino, intento a interpretare i segnali ormai impellenti del suo affacciarsi alla maturità, Capurso si pone lo scopo di porre in rilievo l’assetto sociale lucano, contraddistinto dall’arretratezza della Basilicata, a cui non mancano le risorse per svilupparsi, ma che stenta a mettere in pratica azioni capaci di sfruttarle al meglio. Gli usi e i costumi della civiltà contadina del luogo vengono delineati con chiarezza, senza tralasciare nessun aspetto, neanche quello gastronomico e linguistico, con termini dialettali che rendono la storia ancora più viva e autentica.
Ed è triste constatare una verità che ancora oggi pare attuale: la Basilicata è una terra che lascia i suoi figli “orfani”, privati quotidianamente delle loro origini, della loro storia, dei loro affetti, costretti a cercare altrove un’altra “madre” che sappia accoglierli e donare loro un futuro migliore. Rimane comunque un legame tra questi figli e le loro radici, come quello che in qualche modo riemerge nel finale della storia di Savino che sarà chiamato a ripercorre la sua adolescenza e i momenti di quell’estate ancora viva nella sua mente.