LECCE – Sgominata un’importante organizzazione criminale operante nelle province di Lecce e Brindisi. Un grande colpo inferto a vari clan della Sacra Corona Unita, che avevano fatto dello spaccio di stupefacenti una delle loro principali attività. Le indagini sono partite dagli atti intimidatori di cui sono rimasti vittima i familiari di un collaboratore di giustizia, con l’avvio dell’”Operazione Vele” che ha portato all’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di ben sedici esponenti mafiosi. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati ingenti quantitativi di stupefacenti come cocaina, eroina, hashish e marijuana. I reati contestati sono quelli di associazione a delinquere di stampo mafioso e associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Nelle prime ore di questa mattina i poliziotti della Squadra Mobile della Questura di Lecce, in collaborazione con i colleghi della Squadra Mobile di Ravenna, dei Reparti Prevenzione Crimine di Lecce, Potenza e Pescara e del Reparto Volo di Bari, nell’ambito di un più ampio contesto investigativo che vede coinvolti 49 indagati, hanno arrestato esponenti del gruppo criminale riconducibile ai fratelli Massimiliano e Gianfranco Elia e Cristian Cito, i quali, in quanto referenti dei clan mafiosi guidati da Pasquale Briganti e Cristian Pepe, avevano acquisito il controllo di parte del traffico e spaccio di sostanze stupefacenti nel capoluogo leccese.
Emergono anche rapporti tra la mafia leccese e quella brindisina dall’attivita’ investigativa, svoltasi attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali e tradizionali metodi di indagini, protrattasi per oltre un anno e supportata anche dalle preziose dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, le quali hanno consentito di ricostruire centinaia episodi di spaccio di varie sostanze stupefacenti in tutta la provincia leccese e brindisina.
Il pentito, la cui famiglia è stata colpita da atti intimidatori, era tra coloro che si occupavano si smerciare la droga nelle varie reti di spaccio. L’uomo non avrebbe pagato la parte dell’incasso al clan di Monteroni fino ad accumulare nei loro confronti un debito di circa 45.000 euro. Sarebbe stato proprio tale debito a portare il malvivente a pentirsi e collaborare con la giustizia.