Di Valeria Coi
LECCE – E pensare che solo otto anni fa le direttive comunitarie dell’Ocm (Organizzazione comune di mercato) del vino valutavano l’ipotesi che il vino rosato potesse essere il risultato di un assemblaggio di uve bianche e rosse.
Il vino rosato poteva quindi essere semplicemente “tagliato”. Uno spreco? No, una richiesta blasfema per i vignaioli italiani e soprattutto salentini che definivano il concetto a dir poco inaudito.
Oggi il rosato si è invece riscattato tanto da arrivare ad essere celebrato in diversi appuntamenti ed eventi d’eccezione, come quello promosso dal Gambero Rosso, “I Drink Pink”, tenutosi alla masseria San Lorenzo di Lecce.
Raccontare un rosato e tutto l’amore e l’attenzione che ci sono dietro la sua delicata produzione: era questo l’obiettivo della degustazione del seminario dell’evento, guidata dall’esperto Gambero Rosso Filippo Rapini il quale, in soli 7 minuti per etichetta, ha saputo far conoscere un vino in tutti i suoi aspetti in un vero e proprio percorso sensitivo.
Un incontro in cui si è narrato della terra del rosato, della storia di questo vino, delle sfumature che porta non solo nel colore, ma anche nei profumi e nel gusto.
Su nove etichette presentate durante il seminario con gli esperti, quattro erano pugliesi (anzi, meglio dire salentine), uno della Lombardia, uno del Piemonte, uno del Trentino Alto Adige, 1 delle Marche e uno dell’Abruzzo. Tutti vini di importante qualità, una “passerella” nella quale i quattro salentini si sono subito distinti per colore, per odore, per sapore, ma soprattutto per carattere.
Si dice che il vino sia eccellente quando ha una qualità gusto olfattiva ben distinta.
Riconoscibili già “a naso”, i rosati salenti hanno raccontato subito la storia di un territorio e la sua personalità.
Deciso per natura, il Negroamaro pugliese ha fatto subito il suo ingresso con una certa imponenza, come ha spiegato l’esperto Gambero Rosso Filippo Rapini:
“Il Negoramaro, nonostante una vinificazione coprente, traghetta sempre fuori dai suoi confini anche quando porta con se le bollicine, tutti i sapori e i profumi della sua terra: delicato nel sapore, con una nota di lampone quasi in confettura, ma al contempo austero al naso, con marcate note di fiori, carico di glicine e a tratti delicate note di zucchero filato”.
Se si ascoltasse Filippo Rapini mentre descrive e fa da guida alla scoperta dei vini salentini senza sapere che ci sta parlando di vino, penseremmo che stia descrivendo esattamente, attraverso delle metafore, la gente che abita nel Salento, il suo carattere, la sua personalità, la sua versatilità; ed è quello che un vitigno autoctono probabilmente sa trasmettere; del resto cosa sono gli abitanti di un territorio, se non anche il suo frutto?
E’ stata una grande conquista quella dei vini salentini durante il seminario di Gambero Rosso; con occhi, naso e bocca hanno affascinato i giornalisti e gli esperti ai lavori presenti alla degustazione tecnica per i rosati selezionati.
I quattro i vini salentini erano i seguenti: Rohesia Brut, di Cantele; Leggiadro Rosato del Consorzio Produttori Vini Manduria; Five Roses metodo classico di Leone De Castris; Metodo classico brut rosè di Carvinea.
Molti altri eccellenti vini sono stati poi serviti durante la cena di chiusura della prima tappa del grande evento di degustazione targato Gambero Rosso. “I Drink Pink” si è infatti concluso, durante una calda serata di maggio, degustando prodotti tipici pugliesi e brindando con i migliori rosati d’Italia all’arrivo dell’estate, stagione che, con il suo sole e le sue elevate temperature, scalderà una terra arida e fatta di zolle, rossa e assetata, ma capace di fiorire sempre e comunque.
Forte, caparbia e tenace, abile nel donare le uve di questo nettare che porta il suo carattere.