LE CITTA’ INVISIBILI: C’è spesso una malcelata superbia in noi contemporanei rispetto a chi ci ha preceduto. Questa curiosa, nostra, autocompiacente consapevolezza si associa soprattutto all’idea di velocità; e in effetti così è perché siamo veloci come non mai negli spostamenti, nel trasferimento di dati, informazioni, etc. E questa certezza, divenendo spesso talmente tanto forte da trasformarsi in una vera e propria hybris, ci spinge a pensare che chi non abbia i nostri attuali mezzi semplicemente non comunica o meglio non comunicava. Chi si volesse avvicinare alla storia dell’Arte scoprirebbe invece esattamente il contrario: gli spostamenti (grandi o piccole fossero le distanze) di artisti, opere, notizie, idee avvenivano con una intensità oggi inimmaginabile per noi limitati come siamo proprio da quella hybris cui si accennava. E’ pur vero che a differenza di quanto accadeva un tempo (nel Cinquecento, giusto per riportare un esempio) oggi non si redige più il testamento prima di intraprendere un viaggio ma un tempo uomini e idee si spostavano e, seppure più lentamente perché a piedi, a dorso di mulo, etc. circolavano. Al di là delle analisi specifiche (inclusa questa che ci accingiamo a fare) il vero messaggio che a noi giunge dalla storia dell’Arte è proprio questo invito a non avere timore di limiti, confini, distanze. D’altro canto la recente eliminazione, con intervento addirittura dei carabinieri, dell’opera pittorica di Tv Boy raffigurante il bacio fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio dimostra una volta di più quale sia il compito più difficile dell’Arte a maggior ragione oggi che le più pericolose distanze da superare non sono più le fisiche ma quelle più insidiose dello spazio della mente.
Detto questo, e facendo posto a un altro tempo della Storia e a questioni attributive di certo per alcuni più prosaiche dei murales contemporanei, non dovrebbe più sorprendere quindi il trovare, anche in epoche più distanti dai nostri tempi, opere scultoree riconducibili a maestranze “leccesi” in città lontane dal capoluogo salentino come Bari, Monopoli, Manduria, Bitonto, e non solo.
L’ultimo caso fra quelli appena ricordati, l’altare dedicato alla Natività della Vergine nella chiesa di San Gaetano a Bitonto, è interessante perché la committenza chiedeva non solo il progetto dell’opera al più noto scultore leccese di fine Seicento, Giuseppe Cino (1635 – 1722), ma addirittura la pietra, quella leccese, da trasportare in quella città via mare; l’opera fu eseguita non a Lecce, dove si stipulò invece il relativo atto notarile, ma a Bitonto e non da Giuseppe Cino che affidò il disegno ad altri, forse suoi collaboratori usuali e forse addirittura suoi allievi. Il caso di questo artista ci sembra, però, interessante anche per un’altra ragione.
Un’analisi, infatti, nella pur vasta bibliografia che si è potuta rinvenire dedicata proprio a tale scultore e architetto leccese (a titolo di esempio si ricorda la pubblicazione più recente ritenuta un totem da quasi tutti per l’autorevolezza sull’argomento: Cazzato V, Cazzato M. (a cura di), Atlante del Barocco in Italia, Lecce e il Salento 1, i centri urbani, le architetture, il cantiere barocco, Roma: De Luca, pp. 541 – 543; 604 – 605) non ha evidenziato notizie circa la sua presenza a Manduria (Ta).
In questa città attribuibili al noto scultore leccese sono alcune opere che riteniamo significative per arricchire la sua già vasta produzione: l’altare maggiore (Fig. 1) della chiesa conventuale di San Giovanni Battista (Benedettine); nella chiesa conventuale di Santa Maria di Costantinopoli (Agostiniani), terminata di costruire nel 1718, transetto destro e sinistro, rispettivamente pareti laterali sinistra e destra, due nicchie, inquadrate da paraste decorate a rilievo, all’interno di ognuna delle quali è la statua a tutto tondo di un santo vescovo (Figg. 2; 3, anche le statue sono attribuibili a Giuseppe Cino); chiesa conventuale del Rosario (Domenicani), l’altare (1705 ?) dedicato a san Vincenzo Ferreri (Fig. 4).
Per quanto riguarda quello delle Benedettine (Fig. 1) è riferibile a Giuseppe Cino solo la parte architettonica principale (colonne tortili e relativa trabeazione, parte basamentale su cui grava l’ordine architettonico) appoggiata alla parete posteriore dell’edificio esclusi: il tabernacolo, l’attuale mensa e tutto l’apparato decorativo che, ancora sulla parete di fondo, circonda l’altare ed è riferibile, invece, ad altra mano e forse alto tempo esecutivo. Per quanto riguarda il caso dei Domenicani è interessante da un punto di vista didattico (rispetto cioè al tema maestro – allievo/seguace) rilevare la forte somiglianza stilistica fra l’altare di san Vincenzo Ferreri e quello contiguo dedicato al Rosario; il primo, come detto, ricorda molto proprio le opere di Giuseppe Cino, il secondo sembra invece di scuola “cinesca”. Le commissioni allo scultore leccese da parte dei due conventi a Manduria (Benedettine e Domenicani) potrebbero essere scaturite dai rapporti che Giuseppe Cino aveva con i conventi di quegli ordini a Lecce.
Un secondo caso forse più interessante del precedente ma altrettanto poco adeguatamente indagato rispetto alla paternità esecutiva (Cazzato V, Cazzato M.,a cura di, Op. cit., p. 540) riguarda, sempre a Manduria, la chiesa conventuale di San Francesco d’Assisi (Francescani) e, ancora una volta, quella del Rosario. I due casi sono legati. Vediamo in che modo.
A proposito del prospetto principale della chiesa domenicana, ricostruito a partire dalla prima metà del Seicento (Floro L., Il Convento dei Domenicani di Casalnuovo (Manduria) in Nicolaus. Studi storici, A. 11 (2000), fasc. n. 2, pp. 223 – 238) e datato «1686» (incisione in facciata), si legge: «[…] è stata avanzata l’attribuzione a Pietro Antonio Pugliese» (Cazzato V, Cazzato M. ,a cura di, Op. cit., p. 542); di fatto, però, la questione non è sciolta visto che la storiografia segnala (Cazzato V, Cazzato M., a cura di, Op. cit., p. 647), negli stessi anni circa, almeno due Pietro Antonio, l’uno figlio di Sansone, l’altro di Stefano entrambi, però, cognominati Pugliese. L’attribuzione, quindi, rimane indeterminata soprattutto per la mancanza nell’Atlante di una puntuale bibliografia sull’argomento. A proposito del Pietro Antonio, figlio di Stefano, nell’Atlante (Cazzato V, Cazzato M. ,a cura di, Op. cit., p. 647) inoltre troviamo: «[…] può essere considerato il più importante esponente di questa numerosa famiglia di costruttori [Pugliese n.d.r.]; il 1616 lascia la sua firma sull’arcone della chiesa galatinese di S. Caterina Novella […]; nella stessa chiesa gli si devono attribuire il portale e il finestrone in facciata (1619) e, probabilmente, i finestroni del semiprospetto inferiore della Collegiata nel medesimo centro […]. Al Pugliese bisogna attribuire diversi altari (uno in particolare, di S. Antonio di Padova nella omonima chiesa neretina dei Riformati, datato 1637 e firmato “PUGLIESE DI NARDO’”) […]».
Al di là della questione di omonimia cui si è accennato cerchiamo in ogni caso di recuperare il bandolo di questa intricata vicenda almeno per una sua parte. Va precisato subito, intanto, come il Pietro Antonio che incide il suo nome nella chiesa galatinese potrebbe, a rigore di logica, essere solo il costruttore e non anche lo scultore di tutto l’apparato decorativo di tale edificio. Detto questo un confronto diretto fra i volti scolpiti in questa chiesa a Galatina (Fig. 5: particolari Ca, Cb) e quelli presenti nel citato altare di Sant’Antonio a Nardò (Fig. 5: particolari Ba, Bb) lascia supporre che l’autore non sia il medesimo. Pur dimostrando, in realtà, una certa assonanza formale legata al fatto che tali sculture sembrino appartenere a una sorta di scuola (fondata su rapporti prima di tutto familiari), quella dei Pugliese, differenze sostanziali si rilevano nel modo di articolare il taglio degli occhi e più in generale le masse, i volumi e quindi le ombre fra occhi e guance; e tutto ciò è tale da lasciare supporre due diverse idee anatomiche della figura e quindi mani esecutive differenti. Ricordiamo inoltre che l’altare neretino reca inciso, come segnalato dalla storiografia, PUGLIESE DI NARDO’ (non ci è stato, però, consentito compiere un’ispezione diretta per verificare l’esistenza o meno del nome dell’autore).
Torniamo adesso alla chiesa domenicana di Manduria (A) sulla cui facciata a sormontare la grande finestra centrale è lo stemma dell’ordine religioso di appartenenza (Fig. 5: particolari Aa, Ab, Ac). Quest’ultimo è caratterizzato da tre teste d’angelo la cui fattura ricorda da vicino proprio quelle presenti nell’altare di Sant’Antonio (Fig. 5: soprattutto si osservi il particolare Ba). Plausibilmente, quindi, lo stemma e forse anche la parte scultorea principale della facciata potrebbe essere attribuita a mastro PUGLIESE DI NARDO’.
A quest’ultimo artefice andrebbero assegnati, contrariamente a quanto asserito dalla storiografia (Cazzato V, Cazzato M. ,a cura di, Op. cit., p. 647) pure i due finestroni nel semiprospetto inferiore della Collegiata di Galatina (D) dove i volti degli angeli e la tipologia delle loro ali (Fig. 6: particolare Da) appaiono vicini in modo chiaro ai motivi analoghi presenti nel qui già ricordato altare a Nardò (Fig. 6: particolare Ba); a questo proposito, per completezza, sempre nella stessa immagine (Fig. 6) si sono affiancati anche due volti (Fig. 6: particolari Cc, Cd) dell’apparato decorativo interno della chiesa di Santa Caterina Novella (C) attribuito a Pietro Antonio Pugliese. La differenza fra questi ultimi volti (Fig. 6: particolari Cc, Cd) e quello (Fig. 6: particolare Da) scolpito al centro dell’architrave del finestrone sinistro della Collegiata di Galatina (D) spinge a non accettare l’ipotesi (Cazzato V, Cazzato M., a cura di, Op. cit., p. 647) che tale grande apertura rettangolare e la sua simmetrica sulla stessa facciata sia opera di quel Pietro Antonio Pugliese che incide il suo nome nella chiesa di Santa Maria Novella sempre a Galatina.
A completare questo panorama e soprattutto al fine di una maggiore conoscenza dell’artista cui, con l’incertezza qui già precedentemente espressa, è stato assegnato l’apparato scultoreo all’interno della citata chiesa di Santa Maria Novella, ossia Pietro Antonio Pugliese, si ritiene plausibile attribuirgli (sulla base di uno studio più generale condotto con Stefano Tanisi) anche una statua che, raffigurante San Michele Arcangelo, è custodita presso il museo civico di Galatina (Fig. 7).
Sempre a Manduria, nella chiesa di San Francesco, è inoltre un’interessante soluzione della zona absidale (Fig. 8) che, inquadrata da due semicolonne (una per lato) collocate su alti piedistalli, affronta la profondità della parte terminale dell’edificio sacro con due piani prospetticamente convergenti verso una parete di fondo con nicchia centrale pure inquadrata da due semicolonne simili a quelle frontali. Su queste pareti laterali è una teoria di piccole nicchie, separate da colonnine con trabeazione, disposte su tre piani sovrapposti.
A proposito di tale “imbuto visivo” la storiografia ricorda (Cazzato V, Cazzato M. ,a cura di, Op. cit., p. 540): «La struttura prospettica è tipica della maniera del leccese Francesco Antonio Zimbalo». Di fatto, però, sulla base di quanto oggi noto, F. A. Zimbalo (1567 – 1631, circa) utilizzò questa soluzione una sola volta ovvero nell’altare di San Francesco di Paola (datato 1614) nella chiesa leccese di Santa Croce; non esistono inoltre evidenze storiche tali per affermare che egli fu l’unico e il primo ad utilizzarla in ambito locale tanto più alla luce dell’attività di Giovanni Maria Tarantino che, è utile tenerlo a mente, nella Matrice di Morciano di Leuca utilizzò una soluzione absidale a pianta poligonale già forse nel1576 (la data è incisa sul portale principale). A scanso di equivoci, dal punto di vista esecutivo, possiamo infine ritenere non attribuibile a F. A. Zimbalo l’abside francescano a Manduria.
In tale opera, datata 1633, è da rilevare, invece, che i volti delle teste d’angelo in essa scolpiti (Fig. 9) appaiono significativamente simili a quelli presenti nel grande stemma domenicano di cui si è qui già scritto (Fig. 5. particolari Aa, Ab, Ac). Non è da escludere, pertanto, che entrambi appartengano, in merito alla loro esecuzione, allo stesso arco temporale e, se non esattamente al medesimo autore (quello cioè dello stemma domenicano), almeno alle stesse maestranze quelle cioè legate alla scuola (membri di una stessa famiglia o meno) dei Pugliese (di Nardò?).
Legenda
Fig. 1: Manduria (Ta), chiesa conventuale di San Giovanni Battista, altare maggiore, G. Cino (attr.); nell’immagine elaborata è stata lasciata a colori solo la parte attribuibile allo scultore leccese.
Fig. 2: Manduria (Ta), chiesa conventuale di Santa Maria di Costantinopoli, transetto destro, nicchia con statua di santo vescovo, G. Cino (attr.).
Fig. 3: Manduria (Ta), chiesa conventuale di santa Maria di Costantinopoli, transetto sinistro, nicchia con statua di santo vescovo, G. Cino (attr.).
Fig. 4. Manduria (Ta), chiesa conventuale del Rosario, altare di San Vincenzo Ferreri, 1705 (?), G. Cino (attr.).
Fig. 5: a sinistra e in basso, Manduria (Ta), stemma sommitale della chiesa conventuale del Rosario (A), veduta generale e dettagli (Aa, Ab, Ac); in alto a destra, Nardò (Le), chiesa di Sant’Antonio da Padova (B), altare del titolare, dettagli (Ba, Bb); in basso a destra, Galatina (Le), chiesa conventuale di Santa Caterina Novella (C), dettagli (Ca, Cb).
Fig. 6: da sinistra, Galatina (Lecce), chiesa conventuale di Santa Maria Novella (C), finestrone absidale, particolari (Cc, Cd); al centro, Galatina (Le), Collegiata (D), facciata principale, ordine inferiore, finestrone corrispondente alla navata sinistra, particolare (Da); a destra, Nardò (Lecce), chiesa di Sant’Antonio da Padova (B), altare del titolare, dettaglio (Ba).
Fig. 7: Galatina (Le), Museo Civico, San Michele Arcangelo, Pietro Antonio Pugliese (attr.).
Fig. 8: Manduria (Ta), chiesa conventuale di San Francesco d’Assisi, abside, 1633, Pugliese (attr.)
Fig. 9: Manduria (Ta), chiesa conventuale di San Francesco d’Assisi, abside, 1633, dettaglio, Pugliese (attr.).
La foto di copertina è di Vincenzo Livieri per Lapresse (http://www.lapresse.it/foto/salvini-di-maio-bacio-murales-roma/i-carabinieri-davanti-al-murales-del-bacio-292052.html)
Ringraziamenti: Arcidiocesi di Lecce, Arcidiocesi di Otranto, Diocesi di Oria, Museo civico di Galatina