Talvolta un uomo a un uomo serve più di un angelo. Non ricordo chi lo ha detto, ma potrebbe essere l’esergo che apre la storia di Alessandra Cito, danzatrice leccese giramondo sin da piccolissima dopo un incipit di carriera splendido alla corte di Rudra Bèjart, nella celebre scuola di Losanna si era liberato un solo posto e fu scelta proprio lei. Del resto, chi ha visto la Cito danzare e muovere i primi passi in scena nelle migliori realtà pugliesi, non si stupisce. Da allora, teatro dopo teatro, Compagnia dopo Compagnia, spettacolo dopo spettacolo, la strada si è srotolata dinanzi ai piedi di questa bambina-ragazza-donna, una Cenerentola contemporanea dotata di straordinaria grazia. Oggi è nel corpo di ballo del talent-show “Amici 2017” condotto da Maria De Filippi, fortemente voluta dal coreografo e regista Giuliano Peparini che l’aveva già introdotta alla scena parigina nel 2012, quando Alessandra iniziò a collezionare successi del calibro di “1789, Les Amants de la Bastille” e “La lègende du roi Arthur”. Successi che si sommano a “Notre Dame de Paris” di Cocciante e “Tosca” di Lucio Dalla. La prima puntata del serale è in programma sabato 25 marzo, ma a chi si accorgerà soltanto attraverso il passaggio televisivo di questa bright star salentina, va raccontata la sua storia fatta di disciplina, sacrificio, solitudine, vocazione, umiltà e sogno. Una storia senza santi in paradiso, reda ancor più vivida da un talento che non ammetteva alternative: danzare.
“Io credo di essere stata sempre guidata da una forza superiore. Un momento che mi ha molto segnato nella mia vita è stato quando sono stata scelta per integrare il corso di Rudra Bejart a Losanna con una Borsa di Studio che all’epoca ammontava a 3 milioni di Lire. Una volta terminata la Borsa di Studio, ho rischiato di tornare a Lecce poiché i miei genitori non potevano permettersi la retta. Finché un giorno, tra gli ospiti delle lezioni, quasi tutti importanti artisti, il mio problema fu risolto da un anonimo benefattore che vedendomi danzare decise di farsi carico di tutte le spese relative alla mia formazione. Ricordo che quel giorno mi fu chiesto di eseguire una piroette finita in aplomb in quarta, fu questo a colpire il mio “angelo” benefattore che chiese di me e scoprì le mie difficoltà e decise di non palesarsi mai, preferì aiutarmi nel totale anonimato.”
Talvolta un uomo ad un uomo serve più di un angelo. Senza quel gesto generoso, forse la storia sarebbe andata diversamente ed è invece ha slargato ogni confine portando Alessandra Cito sui palcoscenici dei più grandi teatri del mondo. Classe 1980, la Cito è soprattutto un elegantissimo animale da palcoscenico, una vertiginosa nota in levare, lo sa bene Giuliano Peparini che è riuscito a portare la dimensione teatrale in tv senza cedere a quell’implicito snaturamento che deriva dalla traduzione inevitabile di un linguaggio nell’altro. Al pubblico non educato a cogliere certe sfumature, la vetrina televisiva parrà il traguardo, ma non è certamente questo l’apice più fulgido di una carriera che si è nutrita ogni giorno di confronti unici con i mostri sacri del Balletto.
“Farò quello che ho sempre fatto, quindi teatro in televisione. Non ho mai inseguito la popolarità, quello che mi rende felice è vedermi accordata ancora una volta la fiducia da Giuliano Peparini che per il quinto anno mi intreccia alla sua ricerca creativa, malgrado lui sia un artista che concepisce le collaborazioni come una grande tavolozza di colori da mutare in continuazione. Ogni giorno mi sveglio e non vedo l’ora di vivere questa nuova avventura e partecipare all’atto creativo insieme a lui.”
Il viso di Alessandra Cito è cambiato pochissimo, quasi in niente, da quando era una bambina. Un volto minuto caratterizzato da due grandi occhi scuri, così vividi, incorniciato da lunghi capelli ricci.
“Come fossi una bambola-matrioska dentro di me c’è ancora un’Alessandrina che scrive sulla sabbia col legnetto: Danza ti amo.”
Viene da dire che questo amore è stato ampiamente ricambiato, malgrado – come spesso avviene – dopo città inaccessibili eppure generosissime con Alessandra Cito (Londra, New York, Losanna, Parigi e via elencando) sia proprio la sua terra d’origine, il capoluogo salentino, a mancare all’appello.
“Lecce resta ancora un buen retiro. Quello che mi piacerebbe portare in scena nella mia terra è un assolo che mi rappresenti, magari con degli oggetti in scena che siano simbolo di tutte le città in cui ho vissuto questo sogno ininterrotto: Londra potrebbe essere rappresentata da un fazzoletto rosso poiché lì ho danzato “Carmen”, New York sarebbe rappresentata da un paio di baffi poiché interpretavo il gatto di “Pierino e il Lupo”, Losanna sarebbe rappresentata da un paio di scarpette da punta poiché lì ho vissuto l’iniziazione alla danza vera con Bejart. Oggetti che rappresentano tutti i coreografi con i quali ho lavorato e che ringrazio per la donna che sono oggi.”
Ci sono mestieri che possiamo scegliere e mestieri che ci scelgono. Questi ultimi determinano un mondo parallelo a quello che soggiace alla forza di gravità, è abitato da esseri che vivono nel quotidiano e come tutti noi affrontano difficoltà e dolori, ma sono fauni, esseri fatati toccati dal fuoco la cui vocazione sfida incredibili altezze senza mai perdere l’equilibrio dello squilibrio, virtuosi. La loro levità è il frutto di una volontà mossa da ciò che ci hanno detto essere amore, qualcosa che ci tocca nel profondo quando li vediamo in scena. Una felicità che vibra in chi ignora lo svolgersi della storia che li ha resi tali, è sufficiente guardare Alessandra Cito danzare per capire queste parole o, più semplicemente, sentire qualcosa che ognuno sa e dinanzi alla bellezza finalmente riconosce.