Sono tornati. Dal rutilante scintillino festaiolo degli anni Ottanta ai giorni nostri, per nostalgici in vena di amarcord e giovani in cerca di un divertimento nuovo, pronti a pescare nei ricordi dei genitori per provare i brividi di allora e dare un calcio, a colpi di mazurka, alla noia figlia del terzo millennio.
I festini di Carnevale, nicchia dei più ampi e dispersivi veglioni da cinema, fino a ventanni fa, hanno fatto la storia del divertimento di casa nostra nei comuni del nord Salento, a cavallo tra le province di Lecce, Brindisi e Taranto, in quel triangolo geografico dove inflessioni e accenti si contaminano e mescolano.
Festini, ben lungi dallaccezione negativa di bunga-bunghiana e più recente memoria, in paeselli come Salice Salentino, Veglie, Leverano, San Donaci, Guagnano, Avetrana, Cellino San Marco, Mesagne, significa festa di Carnevale in piccolo, fatta in casa.
Ed è lì che nascevano, nei garages e nelle rimesse, in locali a uso familiare che venivano svuotati di mobili o auto, per lasciare posto a festoni, maschere di carta, striscioni e zigarelle, le stelle filanti di carta attorcigliate su palle luminose e stroboscopiche di terzultima generazione.
Entrare in quel mondo non è difficile per chi oggi ha almeno 40 anni, e da adolescente ha frequentato quei garages insieme a genitori giovani e pieni di pepe, ideatori di quella dimensione parallela che prendeva vita sabato, domenica e spesso anche il martedì e il giovedì, dalla prima serata allalba, fino al giorno della Pentolaccia.
Dopo anni di silenzio e abbrutimento, feste da migliaia di presenze, musica a palla e poche parole, post di gente spesso sola coi suoi cotillons in mezzo ad altre solitudini, da postare sui social per raccontare in un clic levoluzione dei tempi, i festini di paese sono tornati.
Ne era rimasta traccia a San Donaci, nel brindisino, comunità che ha resistito allavanzare di feste carnascialesche cool e dispersive, che nellultimo decennio ha continuato, stoica, a proporre i suoi festini fatti in casa. A Veglie, la tradizione è tornata questanno, con la proposta di un ritorno alle origini che ha trovato ladesione tanto dei 40enni di allora che dei loro figli, 40enni oggi.
Ma qual è la filosofia dei festini?
Intanto gli organizzatori, cuore pulsante, sono lo start per aprire il sipario su una delle tradizioni più partecipate, colorate e allegre del nostro territorio.
Un gruppo di amici si riuniva per organizzare la sua festa, partecipazione gratuita aperta a chi si conosceva personalmente e veniva invitato. Un passaparola veloce, il vaglio della cabina di regia e si aveva accesso. Un locale da mettere a disposizione anche questo, il più delle volte di proprietà degli organizzatori o di loro conoscenti -, o affittare se del caso, allestire per adeguarlo al momento.
E poi la musica, una volta giradischi e mangianastri erano presidiati, a rotazione, dagli addetti alle selezioni per la pista. Si faceva un po ciascuno, in economia, gli staff più organizzati si rivolgevano a persone più esperte.
Le spese si coprivano dividendo alla romana, come nel caso del cibo e del vino.
Immancabili, a metà serata, prima della mezzanotte. A quellora si spegneva la musica, si scoperchiavano teglie e guantiere, si aprivano le damigiane e si passava tra i presenti, per un pezzo di pizza, un bicchiere di vino e una fetta di torta fatta in casa. Anche in questo caso, i più preparavano in casa, qualcuno si rivolgeva ai primi catering. Idem per le pulizie del giorno dopo, specie la domenica pomeriggio, prima che avesse inizio lultima serata della settimana.
Cosa si ballava e cosa si balla sulla pista di un festino? Liscio, per partire. Mazurka, polka, walzer e tango. Poi arrivarono i balli di gruppo, che un po soppiantarono la quadriglia. Lo shake fu il padre della disco dance e il lento la colonna sonora di coppie innamorate e di corteggiamenti freschi e puliti.
Fin qui la famiglia del festino tout court. Perché qualcun altro, in quel contesto, aveva un ruolo fondamentale ed apriva la strada ad unaltra forma di socializzazione: le mascherate, sale, speranza e sorpresa dei partecipanti ai festini.
Gruppi in maschera, accompagnati in giro per i festini del circondario da un portatore, una persona a volto scoperto che si faceva riconoscere allingresso, a garanzia che si trattava di gente perbene in vena solo di divertirsi in maniera sana. Un rituale anche lì, una palpitazione per le ragazze sedute sulle panche.
Una volta guadagnato laccesso, il portatore comunicava alladdetto alla musica cosa preferissero ballare le sue maschere. Partito il disco, i misteriosi avventori invitavano per caso o con scelta ragionata i presenti. Pochi minuti a canzone, molto spesso, son bastati per far nascere amori o ritrovare, nelle parole di uomini e donne mascherati, chi faceva battere il cuore. Amori e gelosie, domande e curiosità, dietro giro di walzer e lenti stretti stretti.
Tre balli e poi la parola dordine: le maschere sono ringraziate.
Una gara, in paese, per organizzare il festino più frequentato, che avesse la giusta amalgama di famiglie, coppie sposate e giovani.
Erano gli anni Novanta, gli ultimi festini a Salice Salentino, finiti negli annali della storia minima del paese, portavano i nomi degli organizzatori. Si faceva a gara per essere annoverati tra gli invitati al festino te lu Marèna. Si andava di soprannome, ché era più semplice. Ma Giovannino, Enzo, Fernando, Mimino, Franco, Gigi e poi Cecchetto e i ragazzi del paese, hanno fatto storia. Ne rimane traccia. Una traccia bella.
Cambiarono i tempi, i festini sallargarono e garages divennero sempre più grandi. Troppa gente, meno contatti, poche mascherate. Lo spirito familiare e scanzonato di quei ritrovi evaporò.
La nostalgia delle cose belle lo ha rianimato. E i festini sono tornati.
Fabiana Pacella