CAROVIGNO – Emergono dai fondali dell’Adriatico preziose testimonianze del passato, che arricchiscono la storia delle rotte commerciali salentine e i continui scambi con l’altra sponda del mare e l’Oriente. A raccontarle è la Baia dei Camerini di Torre Santa Sabina, marina del Comune di Carovigno a circa 30 km a nord di Brindisi, una piccola insenatura che conserva un patrimonio archeologico subacqueo e costiero di notevole interesse. A far riaffiorare dalle acque “strati” insabbiati di storia, le recenti ricerche della cattedra di Archeologia subacquea del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, condotte in regime di Concessione di scavo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, dirette dalla docente Rita Auriemma.
L’approdo di Torre Santa Sabina è un sito archeologico tra i più complessi e stratificati, con enormi potenzialità dal punto di vista delle conoscenze storico-archeologiche. Le innumerevoli e disparate tracce lungo la costa e sui fondali aiutano a raccontare una storia articolata, ricca di vicende che vanno dalla preistoria all’età moderna. Le testimonianze relative agli insediamenti molto antichi nelle aree che fiancheggiano il cosiddetto “Fiume della Mezzaluna”, residuo di un corso d’acqua dolce che sfociava nell’insenatura detta appunto “La Mezzaluna”, arricchiscono la ricostruzione millenaria del paesaggio e delle sue trasformazioni.
Tracce di vita di una comunità di agricoltori, che lì viveva nel VI-V millennio a.C., sono segnalate dal rinvenimento di oggetti neolitici e scarti di lavorazione della selce. Sempre lì, nell’Età del Bronzo e oltre (dal XIV al X sec. a.C. circa), si è sviluppato uno dei più vasti insediamenti dell’Italia sud-orientale. Ne sono evidente e suggestiva testimonianza le migliaia di buchi dov’erano piantati pali di capanne e palizzate di recinzioni in legno, anche sommersi o semi-sommersi, che si estendono fin lungo le basse scogliere della Baia dei Camerini. La costa, inoltre, è ampiamente segnata da escavazioni, tagli di cava, canali, anch’essi talvolta sommersi o semisommersi, che indicano un’alta frequenza di interventi e trasformazioni del paesaggio di natura antropica.
Gli scavi raccontano di come la piccola insenatura sia stata per lungo tempo un approdo per gli scali marittimi, a indicare come già nel III-II millennio a.C. genti dei Balcani e del Mediterraneo orientale navigavano dall’Egeo e dalle coste dell’Anatolia lungo queste rive: numerosi ritrovamenti di ceramica di importazione micenea a Torre Santa Sabina testimoniano infatti l’esistenza di scambi con l’Egeo e l’altra sponda dell’Adriatico in quell’epoca. Ne è eccezionale conferma anche il rinvenimento di una lama in oro di pugnale da parata, oggetto raro in Italia, ma comune in Egeo e Vicino Oriente. In età messapica la baia era lo scalo marittimo della città indigena di Kàrbina, l’odierna Carovigno, da cui venivano distribuite le merci verso l’interno e, per lungo tempo, anche uno degli scali delle rotte di cabotaggio, la navigazione sotto costa, per il riparo offerto ai naviganti.
Approdo sicuro ma anche luogo d’insidie: durante le tempeste, infatti, alcune navi si infrangevano sulle rocce delle basse scogliere appena affioranti, perdendo i loro preziosi carichi. La stessa area racconta in particolare di due naufragi, avvenuti a distanza di tre secoli l’uno dall’altro.
La nave più antica, di età tardoarcaica (fine VI – inizi V sec. a.C.) chiamata “TorreSantaSabina3”, solcava rotte ionico-adriatiche e trasportava anfore e raffinati servizi da tavola. Nello strato più profondo della sabbia sono stati ritrovati in posizione capovolta, a causa del naufragio, crateri, brocche, coppe e tazze per mescere e bere il vino, mentre il carico principale era il contenuto delle anfore, destinate per la maggior parte al trasporto del vino e, in misura minore, dell’olio. Prodotti che provenivano da vari luoghi della Grecia e dell’Italia meridionale, “beni di lusso” molto richiesti anche dalle popolazioni che vivevano in Puglia durante l’Età arcaica, come i Messapi nel Salento.
Negli strati più superficiali, invece, sono stati rinvenuti i resti della nave di “TorreSantaSabina4”, risalenti all’ età romana tardorepubblicana (fine II sec. a.C.), imbarcazione che trasportava una grande varietà di merci, sia d’importazione sia di produzione locale. Uno scrigno di testimonianze preziose: nelle anfore ritrovate erano contenuti il vino e l’olio prodotti nel Salento insieme ai loro contenitori, e massicciamente esportati. Il resto erano pregiati servizi da tavola e vasellame da cucina, importati dall’Egeo e dall’Asia Minore, dall’Adriatico orientale, dalla Campania e dall’Italia centrale ma anche prodotti in Puglia: piatti, coppe, tegami e olle erano capovolti, le anfore schiacciate una sull’altra.
A questa complessa stratigrafia si può probabilmente aggiungere anche un altro carico databile alla tarda antichità e proveniente dal Mediterraneo orientale (V-VI sec. d.C.). Ma oltre alle imbarcazioni andate distrutte, ce ne sono altre invece “spiaggiate”, incagliatesi presso la riva, come lo scafo del relitto “TorreSantaSabina1” (fine III – inizi IV secolo d.C.), una delle imbarcazioni di età romana imperiale più conservate del Mediterraneo, che mostra parti delle sovrastrutture della nave, persino una porzione del ponte. Proveniva dalle coste nordafricane, probabilmente dall’area dell’odierna Tunisia, come dimostrano le anfore superstiti del carico, che dovevano contenere vino e/o salse e conserve di pesce.
Anche degli scavi a Torre Santa Sabina si parlerà dal 3 al 5 giugno 2022, tra Lecce e Porto Cesareo, nel corso dell’evento finale di UnderwaterMuse – Immersive Underwater Museum experience for a wider inclusion.
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