Di Alessio Prastano
È un sabato particolare a Lecce. Per l’occasione, il sole ha deciso di splendere sul Salento esul “Via Del Mare”.
La città è in fermento dalle prime ore del mattino, svegliata dalle trombe e dallo sventolio delle bandiere, composte da due soli colori: il giallo ed il rosso.
Dopo la promozione in Serie B di appena dodici mesi fa, la Lecce calcistica vuole vivere il sogno, con la S maiuscola. Basta una vittoria agli uomini di Fabio Liverani, contro lo Spezia, per conquistare il pass diretto per la massima competizione nazionale.
Le strade che portano allo stadio cominciano a riempirsi da poco dopo le 12. Sciarpe e magliette sono pronte ad essere indossate da donne e uomini che accennano ad un sorriso di speranza. Qualcun altro, come Marco, sente la tensione addosso: si aspetta silenziosamente il proprio turno per poter accedere alla tribuna, mentre ci si scambia una battuta con l’amico di turno: “Che Dio ce la mandi buona”.
I ventinove mila posti si riempiono in un batter d’occhio, nel mentre la tensione sale ancora di più. Ci sono i sostenitori più caldi, che si accodano ai cori della curva nord. Ma è un sabato diverso, insolito. Per cui, arrivano anche i cosiddetti occasionali, quelli che preferiscono il calcio in tv, ma che comunque mostrano quella sana tensione in volto: “Certo, se perdono, non verrò più”. Sono tutte esclamazioni affermate con quell’immancabile accento salentino, buono a rimarcare l’idea di quella che è la giornata.
Arrivano le 15. La tensione lascia spazio ai cori: “Devi vincere” canta all’unisono il “Via Del Mare”. Liverani è in fermento sin dal primo minuto, non ammette distrazioni. Anche gli undici in campo partono un po’ frenati, segno di un’emozione difficile da contenere. Il tempo scorre, fino ad arrivare al 9’, quando Petriccione mette dentro il goal del vantaggio giallorosso. In tribuna si esulta a squarciagola. Nel rispetto dell’epoca contemporanea, non ci si esime dal mettere in azione il proprio smartphone per riprendere l’urlo del popolo giallorosso. Un anziano, seduto proprio a ridosso del terreno di gioco, alza gli occhi al cielo, come ad indicare l’aiuto di Sant’Oronzo, Patrono della Città. Una richiesta che con il passare dei minuti risulta di vitale importanza. Lo Spezia prende campo, anche a causa dell’arretramento del baricentro di gioco giallorosso; sfiora il pareggio, senza centrarlo però,provocando un sospiro di sollievo dei presenti in tribuna centrale. I padroni di casa cosi tornano ad avanzare, decisi a chiudere quanto prima la pratica promozione. Poco prima della mezz’ora di gioco, La Mantia adopera la sua arma migliore, il colpo di testa, insaccando il pallone in rete. Lo stadio ci crede, esulta e si carica fino alla fine della prima frazione di gioco.
L’intervallo appare lungo: “Ma quando rientrano?” “Abbiamo cominciato in ritardo noi”, risponde un altro.
Poi eccoli i ventidue in campo. Ormai sembra fatta. Dalla tribuna parte una ola che coinvolge l’intero impianto per alcuni minuti. Si comincia già ad auspicare una “buona campagna acquisti per il prossimo anno”, oppure un signore affronta il tema stadio: “Tocca ristrutturarlo”. Si va avanti fino al 38, quando lo Spezia accorcia le distanze con Capradossi: “Ora fanno qualche cretinata” sbraita un pessimista, mentre la Curva Nord aumenta i decibel.
Intanto l’orecchio e la testa sono anche a Palermo, dove i rosanero sono bloccati sul pari contro il Cittadella. E allora è un perenne “È finita?” “Quanto stanno?”, mentre al Via Del Mare il quarto uomo concede sei minuti di recupero infiniti, asfissianti per chi continua a soffrire in silenzio e con la gamba tremante. La voce del finale al “Barbera” di Palermo si sparge velocemente. Lo stadio ormai non bada più al match, si esulta, aspettando il triplice fischio finale del Sign. Aureliano, che arriva dopo quei minuti infiniti.
I cori sugli spalti, la festa e la premiazione in campo. È un insieme di emozioni per il Lecce e per l’intera città di Lecce, che dopo sette annisofferti torna in Serie A.