Nanoparticelle metalliche, tecniche “salentine” per scoprire pericoli e opportunità
LECCE – Si chiama “Sputtering-Enabled Intracellular X-ray Photoelectron Spectroscopy” (SEI-XPS) ed è una nuova tecnica per l’indagine del destino chimico di nanoparticelle metalliche inglobate nelle cellule: lo ha messo a punto il gruppo di ricercatori di Chimica Analitica dell’Università del Salento in collaborazione con l’IIT – Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
«Le nanoparticelle sono ormai diffusissime nell’ambiente – spiega il professor Cosimino Malitesta, coordinatore del gruppo di ricerca – e questo perché, prima di tutto, sono numerose le applicazioni sia attuali che attese. Pensiamo, per esempio, agli antibatterici contenuti in diversi prodotti di largo uso (dentifrici, saponi, creme, eccetera) o alle prospettive di utilizzo di vettori per il trasporto di farmaci verso precisi organi bersaglio o tumori o altro del genere. Inoltre le nanoparticelle vengono prodotte come conseguenza di alcune attività umane, per esempio il particolato atmosferico fine, prodotto nei processi di combustione o in certi processi industriali, oppure le nanoplastiche che sono il prodotto di degradazione dei materiali plastici dispersi nell’ambiente. Tutte queste diverse nanoparticelle interagiscono con gli organismi con conseguenze in buona misura ancora non note. Il nostro studio è stato mirato per questo a mettere a punto uno strumento capace di mostrarci a quali trasformazioni chimiche vanno incontro le nanoparticelle quando vengono inglobate e interagiscono con il mezzo cellulare, per comprendere come evitare il danno o come migliorare l’efficienza dell’interazione, se desiderata».
La tecnica “Sputtering-Enabled Intracellular X-ray Photoelectron Spectroscopy” (SEI-XPS) consente di avere informazioni di speciazione chimica sull’evoluzione delle nanoparticelle nell’ambiente cellulare, permettendo di fare o di supportare ipotesi di natura biologica sulle interazioni nanoparticelle-cellule. La tecnica produce informazioni non raggiungibili con le tecniche di microscopia e di spettroscopia di analisi elementare, oggi comunemente impiegate, e apre importanti orizzonti d’indagine sia in campo medico sia ambientale. Tale tecnica, infatti, combina la capacità di un cannone ionico, accuratamente programmato, di rimuovere i sottili strati di cellula che ricoprono le nanoparticelle internalizzate fino a raggiungerle, con quella XPS di analisi delle specie chimiche (non solo di analisi elementare) che sono sulla superficie delle nanoparticelle.
XPS consiste nell’irradiare il campione con raggi X per far emettere elettroni agli atomi presenti in superficie. La misura della loro energia consente di sapere quali elementi sono presenti in superficie e di quali composti chimici fanno parte e quindi di comprendere per esempio se la superficie, il luogo dell’interazione con il mezzo cellulare, sta andando incontro a un processo di ossidazione, primo atto della demolizione della nanoparticella, oppure è rimasta integra.
La ricerca è stata recentemente presentata sulla prestigiosa rivista internazionale ACS Nano, pubblicata dall’American Chemical Society, tra le prime riviste al mondo nel campo delle nanoscienze e nanotecnologie.